venerdì 21 novembre 2014
Girando assiduamente per il Sud già in giovane età, curioso e rispettoso, mi accadeva spesso di intrattenermi con ragazzi della mia età conosciuti in genere nelle piazze dei paesi o nelle poverissime Camere del Lavoro dei paesi, che erano in genere dei «bassi» privi di quasi tutto, e dove spesso un ritratto di Di Vittorio era appeso a fianco di un crocefisso. Erano l'esatto opposto dei «circoli dei signori», come li definivano i loro frequentatori, l'élite del paese, dei cui membri sarebbe rimasta – diceva Salvemini – solo l'impronta del deretano nelle comode poltrone dove passavano la maggior parte del tempo. Con altri amici (era il gruppo attorno a Danilo Dolci, al tempo dell'Inchiesta a Palermo che ha di recente riproposto Sellerio, ed è un libro bellissimo) intervistavamo i disoccupati sui sagrati delle chiese madri, dove aspettavano che l'emissario di uno dei «signori» li arruolasse alla giornata per i lavori dei campi, allo stesso identico modo in cui oggi accade agli immigrati africani e orientali, sulle stesse identiche piazze… «Padrone mio, ti voglio arricchire/ come 'nu cane voglio lavorare», cantava un geniale cantautore contadino, Matteo Salvatore – che ho avuto la fortuna di conoscere. Quando si chiedeva a quei disoccupati, molti dei quali capifamiglia nonostante la giovane età, quale fosse la loro professione, come si guadagnassero il pane (il pane e poco d'altro, viste le ore di lavoro e le paghe) alcuni rispondevano: «Faccio l'industriale». Ci divertiva molto, l'uso improprio di quel termine… Intendevano infatti, molto semplicemente: «m'industrio», mi arrangio, faccio quel che capita, di tutto, senza preclusioni di nessun genere perché la fame è fame, e quella dei figli è la più insopportabile. Si parlava molto negli anni Cinquanta dell'«arte di arrangiarsi» degli italiani, ma intendendo spesso quella degli arruffoni e arraffoni della politica, del sottogoverno, dei carrieristi di una sopravvivenza bensì dorata, corrotta e protetta. (Ci fu anche un film con questo titolo scritto dal grande Brancati per un giovane Sordi nel personaggio di un super voltagabbana, specchio di tanti uomini politici reali). Anche oggi si vedono in giro tanti «industriali», tra i nostri giovani e soprattutto tra gli immigrati. E si vedono tanti maestri nell'arte di arrangiarsi tra i giovani attratti dalla politica, perché la politica – lo certificano le statistiche – è uno dei pochi campi in cui, localmente e poi al centro, è più facile «trovar lavoro». Tra gli industriali veri, invece, il giro è chiuso, l'ingresso riservato.
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