giovedì 5 aprile 2018
È normale, all'inizio di ogni nuova legislatura, per quanto contrastato e incerto possa essere lo scenario dei rapporti tra le forze politiche, ascoltare o leggere elenchi di buoni propositi, capaci, se messi in atto, di fare (ri)acquisire al Parlamento quella "centralità" spesso invocata. Tra i buoni propositi, non è mancato, neppure in queste settimane, il richiamo alla qualità della legislazione, tema caro anche a questa rubrica, nella consapevolezza che una parte delle questioni che hanno a che fare con "pane e giustizia" passa attraverso la buona redazione delle leggi, la loro chiarezza e comprensibilità.
Ora, la qualità della legislazione passa (anche) attraverso la bontà dell'istruttoria, e in particolare attraverso la corretta risposta alle domande sul perché e con quali obiettivi legiferare, su quale strumento utilizzare, sulla fattibilità dell'intervento legislativo sotto il profilo delle sue conseguenze amministrative e finanziarie, sull'impatto economico-sociale prevedibile. L'occasione di questa riflessione mi è venuta scorrendo l'elenco dei progetti di legge, depositati in questi primi giorni della legislatura, aventi diretti effetti sull'organizzazione e sul funzionamento della giustizia. Temi come i criteri di priorità per l'esercizio dell'azione penale, o la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente, non possono essere seriamente affrontati senza un'attenta considerazione della realtà esistente, fuori da eccessi di semplificazione e pregiudizi ideologici o professionali.
Mi limito a un esempio, concernente un tema di nicchia, ma quanto mai delicato: la riproposizione (da parte del deputato Ceccanti) di un progetto di legge volto a modificare il sistema elettorale per l'elezione dei componenti togati del Csm, prevedendo il cosiddetto voto alternativo. Questa potrebbe e dovrebbe essere l'occasione per una discussione approfondita sulla magistratura ordinaria e le sue articolazioni interne, liberata da stereotipi. In proposito, l'obiettivo non può essere soltanto quello di ridurre il peso delle cosiddette correnti: si finirebbe per avere componenti meno responsabilizzati, aumentando la possibilità che essi rispondano a cordate e gruppi di potere inconoscibili. Piuttosto, la riforma dovrebbe tendere a favorire un rapporto meno rigido tra componente associativa ed eletto e ad aumentare il ventaglio di scelte del magistrato elettore. In questa prospettiva, il sistema del voto alternativo, cioè la possibilità di esprimere anche una seconda preferenza, consente di alzare significativamente la legittimazione dell'eletto e di rafforzarne il legame con l'elettore, senza bisogno di votare due volte. Valutare l'impatto di un tale sistema (o di modelli analoghi) non è impossibile e permetterebbe di andare oltre ai semplici buoni propositi.
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