martedì 16 settembre 2014
«Qualunque cosa dica Amore rispettala:/ regna e ha diritto sui tutti gli dèi».Ovidio è uno dei grandi autori della Roma di Augusto, dove la concezione del divino è profondamente diversa da quella del cristianesimo che si sta affermando. Amore, il dio dei greci e poi il suo discendente romano, è un essere imprevedibile e anche capriccioso che segna il destino degli umani, nell'esclusiva sfera terrena. Il grande poeta può alludere, qui, a quella divinità dalla saetta fatale. Ma lo stesso Ovidio ha scritto, nelle Metamorfosi, la storia di Orfeo che scende agli inferi per riportare in vita l'amatissima moglie Euridice, o quella di Alcione che, facendo rinascere il marito, si tramuta, sopravvivendo in forma di bianco uccello marino: fiabe in cui l'amore manifesta una tensione e una prospettiva ultraterrena. Certo, l'Amore a cui si riferisce il poeta latino non è quello di Dante, «che move il sole e l'altre stelle». Ma è sempre Amore, e in questo uomini e culture differenti trovano un punto d'incontro: dal poeta latino che sogna la metamorfosi, la trasformazione che nega il buio finale, al mistico sufi che canta un'energia divina misericordiosa oltre ogni limite, a Dante Alighieri. Ha ragione, con la concisione lapidaria della sua lingua, il saggio Ovidio: «Qualunque cosa dica Amore, rispettala».
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