mercoledì 23 giugno 2021
Il titolo un po' criptico del nuovo libro di Giuseppe Savagnone, Il miracolo e il disincanto è subito chiarito dal sottotitolo: “La provvidenza alla prova” (EDB, pagine 128, euro 13,00). Un libro breve e intenso, sintesi efficace di ottime letture approfondite in prima persona.
Il tema della provvidenza non è di gran moda perché si è passati da una concezione miracolistica dell'intervento divino nel mondo a una messa fra parentesi dell'intero problema che, visto da vicino, è molto più complicato di quanto un certo devozionismo tradizionale vorrebbe far credere. Savagnone non tratta della provvidenza retribuzionistica e superficiale, alla quale giustamente dedica poco più di un cenno; da subito egli inquadra l'atteggiamento dell'uomo nei confronti della provvidenza in un triplice modello: dalla tendenza a vedere interventi soprannaturali in ogni circostanza (primo modello), si è passati a ritenere che la provvidenza intervenga discretamente senza alterare il corso ordinario dei fenomeni naturali e degli eventi umani (secondo modello) per giungere a un “radicale disincanto” nei confronti della natura e della storia. Gli interrogativi in gioco sono formidabili: come conciliare il disegno creatore di un Dio onnipotente con la libertà? In che senso va inteso che Dio è “il Signore della storia”? L'autonomia del creato rende superflua la fede nella provvidenza? Savagnone suggerisce un “terzo modello”, sia pure problematico, proposto da alcuni teologi: «Concepire l'azione provvidenziale come volta a suscitare nei cuori uno sguardo nuovo che colga negli eventi un “sovrappiù di senso”. L'apertura interiore del credente, allora, non solo risulterebbe essenziale per riconoscere l'intervento divino nel mondo, ma ne costituirebbe essa stessa l'unico effetto reale». Di particolare interesse le pagine dedicate alla “debolezza di Dio”, secondo la dottrina dello Zim Zum (“contrazione / ritrazione / concentrazione”) radicata nella Cabala ebraica e formulata dal mistico ebreo Isaac Luria (1534-1572): «Come fa a esserci un mondo, se Dio è dappertutto? Se Dio è “tutto”, come possono esserci cose che non siano Dio?», si domanda Luria. «La dottrina dello Zim Zum permette di risolvere questo problema parlando di un “ritrarsi” di Dio all'atto della creazione, per lasciare esistere il mondo nel vuoto così determinato». E, con l'autrice teatrale ebrea Anat Gov, si può dire che «la debolezza di Dio non è quella della pura e semplice impotenza, ma di una potenza divina radicalmente diversa da quella che noi uomini consideriamo tale, una potenza così grande da consentirgli di farsi debole per amore ed essere dunque vicino alle sue creature senza schiacciarle». È la dottrina cattolica della kénosis (annichilimento, dice san Paolo) di un Dio che si fa uomo per redimere l'uomo e il mondo: «La relazione tra Dio e il mondo implica un “ritrarsi” del primo, un suo apparente annientamento, attraverso cui si realizza la sua azione misericordiosa nei confronti del secondo. Che si realizzi in Cristo o nei suoi discepoli, il paradosso della storia della salvezza è che la potenza di Dio si manifesta nella sua debolezza».
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