venerdì 19 marzo 2010
Ieri ("Repubblica", p. 38) «Il laico precetto di rispettare le norme», Augias replica a un lettore, per lui «ingenuo solo all'apparenza», sulla vera radice delle leggi morali affermando sicuro che, in tema, «il contrasto tra la fede e le opere divise fino dall'inizio il cristianesimo, con Paolo di Tarso dalla parte della Fede come poi sarà Lutero». Poi continua: «si capisce subito» che questa «tendenza che privilegia la fede sulle opere diminuisce l'importanza della chiesa», e perciò è «contrastata». Che dire? Che possa darsi contrasto tra fede proclamata e realtà concreta lo dice già Gesù nel Vangelo " «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21) " ma che «fin dall'inizio» questo contrasto abbia opposto Paolo, per la fede, a qualcun altro per le opere è almeno discutibile. Dove l'ha appreso, Augias? Elementare! Il giorno prima lì, su "Repubblica" (p. 57: «Sulla bontà della natura umana») ove Vito Mancuso annunciava sicuro che le dure parole della Lettera di Giacomo, «Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?» (2,20) sono scritte proprio contro «il nucleo dell'insegnamento" della salvezza per sola fede» di Paolo. Sicuro? A parte ogni discorso storico sul senso vitale e non solo intellettuale della fede nell'agostiniano Lutero, lo stesso Paolo ha scritto: «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6) e ha polemizzato solo con «le opere della Legge antica» ritenuta autosufficiente, e superata da Cristo con quella dell'amore. Lezione di Mancuso subito appresa: ma nel maestro e nel discepolo resta qualche malinteso.
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