sabato 8 febbraio 2020
Prometeo, l'inventore della tecnica che a lungo ci ha serviti e protetti («Tutte le arti ai mortali vengono da me», Eschilo, "Prometeo incatenato", v. 506), si erige a signore e profeta del tempo presente e di quello a venire, esplicando tutta la potenza e potenzialità del suo étimo: Prometeo, colui che "comprende (metis) prima (pro)". Ormai egli regna sovrano sulla politica e sull'economia, consegnandoci un uomo competitivo con la macchina, combinato con la macchina, aumentato dalla macchina, e anche minacciato dalla macchina. Allora Prometeo non era in grado di salvaguardare né città né uomini: la tecnica, lo teorizza Platone nel "Protagora" (322 a- d), invocava la necessità e il primato della politica. Ben più problematico e drammatico il nostro presente, dove la politica, confinata a scala locale, deve confrontarsi con la tecnica che agisce su scala globale; avremmo bisogno di un governo mondiale e di uno ius mundi, e siamo qui a balbettare su ius soli e ius culturae. A quanti si affidano fideisticamente a Prometeo, alle sue speranze luminose e utopie illimitate, quali l'eterna giovinezza o improbabili forme di immortalità, sarà bene ricordare, con Eschilo, la scoperta più importante che Prometeo ha rivelato all'uomo: avergli dato «cieche speranze» (v. 250), perché fosse distolto dal pensare al proprio destino mortale e non ponesse limiti ai sogni.
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