Prodotti tipici, i limiti del boom
sabato 26 agosto 2006
Vai in Italia e torna con un salame, oppure con una caciotta accompagnata da qualche bottiglia di buon vino. Non si tratta di una facile frase ad effetto per attirare turisti, ma della sintesi di uno dei fenomeni economici che hanno segnato l'estate 2006 per l'agricoltura italiana. Un fenomeno che vale miliardi di euro e che si è concretizzato dopo dodici mesi di salita dei consumi di alimenti tipici nostrani anche da parte delle famiglie. Si tratta di segnali importanti per il nostro comparto agroalimentare che, tuttavia, devono essere ben valutati.Per la Coldiretti, che ha condotto una indagine specifica attraverso il proprio sito Internet, due italiani su tre «al ritorno delle vacanze portano un prodotto alimentare tipico per mantenere vivo almeno nel gusto il ricordo dei luoghi di riposo e divertimento che si e' costretti a lasciare». Una scelta di questo genere viene effettuata dal 61% dei turisti, mentre il 20% preferisce i prodotti artigianali e il 7% quelli spiccatamente commerciali. Una tendenza che, detta in soldoni, vale appunto qualche miliardo di euro e che tocca un po' tutti i prodotti a disposizione. Ma non basta. L'associazione Italia-prodotti tipici vale infatti moltissimo ovviamente anche per i turisti stranieri: il 45% di questi sbarca nello Stivale pensando prima di tutto al cibo e al vino, che raggiungono il valore più elevato per i cittadini svedesi (70%) e americani (58%) e il più basso per quelli cinesi (31%) e per i russi (28%). Merito, fra l'altro, dei dazi pesantissimi che molti Paesi impongono proprio sui nostri prodotti che, quindi, fuori dall'Italia assumono prezzi elevati.Insomma, l'Italia agricola «tipica» sembra tornata ' semmai si fosse allontanata da questa condizione ' a vincere alla grande. Tanto da raggiungere un rispettabile giro d'affari pari ad oltre 8 miliardi di euro, solamente per i prodotti a marchio, ed esportazioni per quasi due. Un settore nel settore, quindi, che ' stando ad altre rilevazioni statistiche ' sembrerebbe dare lavoro, fra altre attività indotte e dirette, a più di 300mila persone, assumendo per molte aree agricole i connotati di comparto fulcro dell'intera economia.Un successo, però, che non deve nascondere la situazione del resto dell'agricoltura con le sue difficoltà e i problemi da superare. In altre parole, è bene non dimenticare che il saldo della bilancia commerciale agroalimentare nazionale continua a segnare un forte «rosso» e che molte altre produzioni più indifferenziate soffrono di pesanti deficit commerciali e di immagine. Che i prodotti tipici rappresentino una bella e miliardaria carta di presentazione della nostra agricoltura è un dato di fatto; ma che questi vengano assunti a toccasana delle situazioni critiche, è un rischio che spesso si concretizza in maniera preoccupante. Certo, le tante e buone prelibatezze nostrane devono servire come altrettanti esempi da cui trarre ispirazione. Ma l'agricoltura ha bisogno anche d'altro.
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