martedì 11 febbraio 2020
Per la Procura europea antifrodi sarà finalmente l'anno del decollo? Se lo chiedeva, nel deciso intervento pronunciato la settimana scorsa all'Europarlamento, il magistrato romeno Laura Codruta Kovesi, che guida l'istituzione comunitaria responsabile della lotta ai crimini finanziari ai danni dell'Unione. Un fenomeno molto diffuso e che, secondo le sue stime, impatta su non meno di 30 miliardi di euro e danneggia in gran parte (fra due terzi e tre quarti) le cosiddette “politiche di coesione”, ossia proprio quelle forme di finanziamento destinate a sostenere le aree più svantaggiate nei Paesi membri.
La Procura Ue, in sigla Eppo (European Public Prosecutor's Office), è nata quasi tre anni fa sotto forma di “cooperazione rafforzata”, ossia un'iniziativa non condivisa da tutti gli Stati ma da un'adeguata maggioranza di essi. In realtà, in questo caso siamo ormai non lontani dall'unanimità, perché dopo la Brexit gli aderenti sono 22 su 27 e mancano solo Ungheria, Irlanda, Polonia, Svezia e Danimarca. Alla magistratura comunitaria spetterà, sulla carta, indagare su tutti i casi di truffe per importi superiori a 10mila euro, sui reati di corruzione e riciclaggio e sulle frodi Iva transfrontaliere superiori a 10 milioni.
Sulla carta, appunto. Non a caso il titolare del nuovo ufficio, nominato a fine novembre scorso, non ha avuto troppi peli sulla lingua nel sollecitare la Commissione a dotare la sua struttura dei mezzi adeguati per farla funzionare entro la fine dell'anno. Altrimenti, ha avvertito in parole povere, diciamo apertamente che questa Procura la facciamo solo per metterci un fiore all'occhiello senza sostanza. Nel suo Paese, Laura Kovesi è stata per anni un vero mastino, capace di portare alla sbarra centinaia di politici e funzionari pubblici colpevoli di corruzione. Al punto che lo stesso governo di Bucarest ha contrastato la sua nomina a Bruxelles, ma alla fine senza riuscirci.
Nel suo rapporto alla Commissione Libertà civili, Giustizia e Interni, il magistrato romeno ha fatto presente che, nel momento in cui entrerà in funzione, l'Eppo si troverà ad ereditare dalle procure nazionali qualcosa come 3mila indagini e con la prospettiva di nuovi dossier da aprire al ritmo di 2mila l'anno. Ma nel suo ufficio a Lussemburgo potrà contare, oltre che sui 22 procuratori nazionali distaccati per affiancarla e su 32 procuratori europei delegati, su appena quattro funzionari effettivamente destinati alle indagini, contro 25 che si occuperanno di computer, personale e scartoffie varie. Sembra di sentire i lamenti di certi tribunali di casa nostra alle prese con la carenza cronica di cancellieri. Eppure, se davvero vuole riconquistare presso l'opinione pubblica europea un'immagine positiva, l'Unione deve mostrarsi capace anche di contrastare seriamente la criminalità transnazionale, soprattutto in campo economico. L'idea della Procura comune nasce proprio dalla constatazione che i limiti alle competenze degli inquirenti nazionali non consentono di indagare con rapidità ed efficacia su molti tipi di reati. Anche il previsto supporto dell'Olaf, il benemerito ufficio per la lotta alle frodi che lavora al servizio diretto della Commissione Ue, per quanto utile non basta a compensare quanto manca.
Poco meno di un anno fa, la Corte dei Conti dell'Unione ha pubblicato una ponderosa “relazione speciale” sulla lotta alle frodi, in particolare quelle che incidono sulla spesa per le politiche di coesione. È un documento davvero istruttivo, che punta molto sulla prevenzione del fenomeno, ma al tempo stesso dà ragione alle richieste della Procuratrice Laura Kovesi. Quelli rubati alle casse della Ue sono soldi dei contribuenti europei. Guai a dimenticarlo.
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