Sono i giorni della visita militare, perché io sono fra quelli che il militare non l'hanno circumnavigato. Ruotiamo seminudi fra i diversi specialisti medici che ci esaminano. L'otorino mi grida: «Apri quella bocca di…». Sono davvero sconcertato. Gli rispondo: «La bocca di… ce l'avrà lei». È un attimo. «Guardie» grida. Due divise mi affiancano e mi conducono lungo diversi corridoi. Entriamo, credo, nel tribunale militare: tutto per direttissima. Presiede un signore in giacca e cravatta. È un ufficiale superiore degli alpini e porta il cappello con la piuma bianca. Di fianco ha la bandiera tricolore e appoggia sul tavolo la mano di cuoio del suo braccio destro artificiale. L'uomo è medaglia d'oro. Muove lentamente la mano sinistra come se stesse dirigendo un coro di montagna. Mi fa raccontare l'accaduto, lui seduto su una pedana, io in basso di fronte. C'erano molti testimoni ma non ne convoca neanche uno. Si fida di me. Giudice e accusato si guardano come se fossero amici da sempre. Quasi inimmaginabile una vicenda simile. Avrei voluto forse restare a lungo con lui, ma mi fa liberare subito. Ho provato spesso allergia per le varie giustizie, che si incontrano ovunque, ma essere giudicato equamente da un uomo con un passato coraggioso e non certo burocratico è stata un'esperienza di fiducia che ho ancora con me.
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