martedì 17 dicembre 2013
Fatico a pregare per me: non ne trovo il coraggio. Mi sembra di togliere qualcosa ad altri cui tengo di più - e magari ne hanno più bisogno (che presunzione). Per vincere l'esitazione devo fare un po' di mente locale: dando il giusto peso alle ragioni della mia anima peccatrice. Allora chiedo a Dio di rendermi capace d'amore, sempre. Sempre e comunque, anche (soprattutto) nelle peggiori situazioni. Perché quando la vita prende alla gola, e stringe, e non si vede uno spiraglio aperto da nessuna parte, per il povero tempo che resta, e dunque manca quasi letteralmente l'ossigeno, è difficile non cedere alla disperazione. E nella disperazione c'è poco posto per l'amore; e anche Dio ci sta stretto. Perciò bisogna chiedere a Dio che ci salvi dalla disperazione: miracolosamente ispirandoci - malgrado tutto - amore. In questo modo anche il pregare per noi stessi diventa pregare per gli altri, destinatari dell'amore che chiediamo a Dio di suscitarci e di conservarci vivo dentro. Concludo con due brevi considerazioni. La prima. Pregare per gli altri mi gratifica di più - anche nel senso etimologico: mi pare più una grazia (o chissà una goccia di Grazia). La seconda. Per me non è vera salvezza se non è, insieme, salvezza degli altri. Almeno dei miei altri - ma dubito che mi accontenterei.
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