venerdì 20 dicembre 2013
La mamma certa di tanti libri di ricette è la fotocopiatrice. La frase è del presidente dell'Accademia Italiana della Cucina durante un convegno a Milano, che ha ricordato l'inflazione dei ricettari sotto le feste di fine anno. Ma in verità la madre della tradizionale cucina italiana, che si declina in mille rivoli, è la fame. È stato infatti questo bisogno cui far fronte, il motivo per cui la necessità è diventata virtù, fino al genio di certe ricette, che poi sono state ripetute di generazione in generazione. Una di queste rappresenta assai bene cosa sia l'arte di ricreare un piatto dal niente: la pasta ripiena. Ora, la pasta ripiena che solitamente arricchisce (oltremisura verrebbe da dire) il pranzo di Natale, altro non è che un piatto unico della gente povera che utilizzava gli avanzi della carne consumata nel giorno di festa. Questa diventava ripieno, per insaporire, misto a verdure di stagione e a spezie, un agnolotto piuttosto che un tortello o un tortellino. E si consumava in brodo, altra specialità tratta dalla cottura di una carne, che in tempi di fame era una concessione rara. Ai giorni nostri, invece, si è capovolto tutto e alla fine ci siamo trovati con un piatto in più dentro al menu. Un piatto che a volte è una forzatura che non risponde ad alcuna necessità se non quella di ostentare. Così il pranzo di Natale, gesto che rappresenta il simbolo di partecipare alla vita, è diventato una forma, dentro alla quale si demanda tutto: il tempo per stare insieme, la chiacchiera: sempre e comunque facendo andar le mandibole. Ed ecco che il pranzo di Natale così concepito può diventare il misuratore di una solitudine interiore. Una contraddizione – vien da obiettare – perché se è vero che mangiare insieme è partecipare alla vita, come può essere il suo contrario? Intanto va detto che di mangiare si parla, ma non di mangiare tanto. E poi c'è una cartina di tornasole che svela se quello che si celebra è una festa o una forma. È una festa se si hanno presenti tutti, uno per uno, i protagonisti e gli invitati: dalla mamma, "destinata" a stare in cucina per seguire quella determinata forma, ai bambini che, notoriamente, a tavola, dopo un po' si annoiano. Ma lo è anche per chi (e la cosa è sempre più diffusa) accanto a noi magari soffre di patologie legate proprio all'alimentazione. Dunque, che fare? Cambiare la forma, una volta tanto: tutte le pietanze su una bella tavola, lasciando che ognuno si serva di ciò che desidera. E magari un solo piatto di sostanza, che so: il cappone ripieno. E l'agnolotto? Il giorno dopo.
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