martedì 11 giugno 2019
La povertà ricchezza dei popoli. Il libro che porta questo titolo è stato pubblicato nel 1978 da Albert Tévoédjrè. L'autore era direttore dell'Istituto internazionale degli Studi sociali e direttore aggiunto dell'Ufficio internazionale del lavoro. Cose dell'altro secolo che forse neppure lui, oggi, oserebbe pensare e meno ancora scrivere. Un recente articolo dell'Agenzia Ecofin, basata nel Camerun e a Ginevra, ricorda come fosse un'evidenza che il nostro Pianeta conta attualmente 34 Paesi poveri. Nel 2003 i Paesi con reddito per abitante annuo, uguale o inferiore a 995 dollari, erano 66. Sui 34 Paesi in questione 26 si trovano nell'Africa subsahariana. Tra questi Mali, Niger, Eritrea, Madagascar e, tra gli altri, anche la Repubblica Democratica del Congo. 32 Paesi hanno dunque raggiunto il gruppo delle economie definite “a reddito intermedio” e sono giunti a quel livello soprattutto grazie all'esportazione di idrocarburi e di risorse miniere. La Banca Mondiale sostiene che, nel prossimo futuro, il numero di Paesi poveri potrebbe non ridursi a causa di conflitti, di violenze e di instabilità. Molti di loro sono dipendenti dall'agricoltura, sostiene ancora la Banca Mondiale e i cambiamenti climatici potrebbero avere influenze negative sull'economia. Oggi i nostri contadini, profittando della pioggia, stavano seminando il miglio.
995 dollari per persona all'anno fa meno di tre dollari al giorno. La povertà come ricchezza dei popoli contestava appunto questo approccio meramente finanziario. Sappiamo che, accanto al denaro, sono stati introdotti da tempo altri parametri di valutazione della povertà. Comunque quello del reddito pro capite, come si può vedere anche dal rapporto in questione, rimane sempre centrale. Fin dal secolo scorso Tévoédjrè, arrivato a 89 anni di età, contestava l'identificazione tra povertà e miseria, quest'ultima da combattere. La povertà, intesa come sobrietà nell'essenziale, è proposta come cammino, che uno Stato che merita questo nome, dovrebbe poter garantire ai propri cittadini. Strade, salute, educazione, come un minimo comune sociale che implica solidarietà nella ricchezza. Profeti cercansi anche in questo secolo, e nel Sahel e altrove fanno difetto. Ripartire dalla povertà e non dalla ricchezza per riformulare una scala di priorità che abbia la follia di mettere a valore proprio la povertà. Ritrovare il coraggio, smarrito ormai, di rivendicare la dignità di una vita coerente con il minimo comune sociale e finirla una buona volta con i modelli di società neocoloniale riciclati sul posto. I profeti dell'immaginario sociale sono stati espunti, sradicati o, molto spesso, si sono venduti a un sistema di rapina, a banca armata. Assieme al miglio si dovrebbero seminare utopie saheliane.
Ciò che ci ricordava con illuminata anticipazione Ivan Illic a proposito della povertà “conviviale”, che il parametro finanziario rende prima colpevole e poi immiserisce, lo ha ripreso Tévoédjrè. Ricordava l'importanza di cambiare l'orizzonte interpretativo e che il primo passo era quello di «disonorare il denaro» e, riprendendo Karl Marx, spiegava che «più il mondo delle cose aumenta in valore, più il mondo degli uomini si svalorizza». Continuava e continua ancora l'autore «...percepire l'esistenza e concepire lo sviluppo attraverso la spirale senza fine nell'acquisto di beni di dubbia utilità o inutili, in una ricerca obbligata e illimitata, ecco l'assurdo. Un'assurdità che si paga a caro prezzo, la ricchezza alla lunga diventa tossica per la società». È l'assurdità che espone il mondo alla “tragedia del senso perduto”. Solo la povertà potrebbe guarirlo, partendo dalla «contestazione di una ricchezza che conduce allo sfacelo, porta a scoprire la povertà che permette di ridare senso alla vita... la miseria ci perseguita o ci minaccia perché non abbiamo scelto la povertà». La povertà ricchezza dei popoli è un libro scritto nel secolo scorso da Albert Tévoédjrè, originario del Benin, Paese affacciato sull'Atlantico in cronica crisi economica e da qualche tempo anche politica. Anni dopo Albert ha ricoperto nel suo Paese la carica di Mediatore della Repubblica e forse, pure lui, si è lasciato “normalizzare”. La sfida è ancora attuale e, nella sabbia del Sahel, ci sono contadini che senza saperlo assieme ai semi di miglio piantano utopie.
Niamey, giugno 2019
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