mercoledì 17 giugno 2015
Curzia Ferrari, che ha intitolato Fondotinta la sua terzultima raccolta di poesie, ha dimestichezza con gli oggetti di toeletta, e dunque non c'è da sorprendersi che il nuovo libro si chiami, imperativamente, Voglio uno specchio! Interviste impossibili con Marina Cvetaeva, Anna Achmàtova, e Mat'Marija Skobzova (Corsiero Editore, Reggio Emilia 2015, pagine 176, euro 16,50).In copertina il piccolo disegno di Aubrey Beardsley (1872-1898), il pittore da cui viene tutto il Liberty (celeberrimi i suoi ghirigori per la Salomé di Oscar Wilde) è pertinente: una snella candela copre parzialmente col suo fumo bianco una luna nera. È la poesia che, con il suo artificio, fa velo d'astrazione alla natura. Nella controcopertina, ancora più piccolo e senza didascalia, il ritratto notissimo che Amedeo Modigliani schizzò di Anna Achmàtova a Parigi nel 1911, e la poetessa sta tutta in quella linea che sembra tracciata senza che la matita si sia mai staccata dal foglio.Quelle di Curzia non sono le "interviste impossibili" a cui siamo abituati, cioè dialoghi immaginari con personaggi preferibilmente defunti: qui entra in gioco lo specchio perché la scrittrice propriamente si specchia nella biografia e nell'opera delle tre poetesse che, a loro volta, si specchiano nell'anima e nella scrittura di Curzia Ferrari. Operazione letteraria quanto mai originale, che produce un risultato che è di analisi critica, ma non è solo analisi; che è narrativo ma non romanzesco; poetico ma non "poetile", aggettivo inventato da Gilberto Finzi. L'intervista più lunga è con Marina Cvetaeva (1892-1941), suicida come Majakovskij, il poeta che più le somiglia. Tumultuosa e tragica, esule col dannunziano marito Sergej Efron a Parigi, in Germania e altrove, invisa al regime sovietico, affamata d'amori non solo maschili, eppure quando Curzia le ricorda: «Hai scritto che Dio vede meglio di te» risponde: «Sì, l'ho scritto. Perché da tutti gli uomini che ho amato avrei voluto un figlio. Ma lui, molto saggiamente e con soprannaturale avvedutezza, i figli me li ha dati solo da Efron, mio marito». Tre figli da un marito che anche la picchiava. Marina capace di scrivere versi come questi, non so a chi dedicati: «Io sono una pagina per la tua penna. / Tutto ricevo. Sono una pagina bianca. / Io sono la custode del tuo bene: / lo crescerò e lo ridarò centuplicato. / Io sono la campagna, la terra nera. / Tu per me sei il raggio e l'umida spiaggia. / Tu sei il mio Dio e Signore, e io / sono terra nera e carta bianca».Quella con Anna Achmàtova (1889-1966) è un'intervista non solo immaginaria, perché Curzia ha incontrato di persona la grandissima poetessa russa nel 1964, a Taormina, per il premio Etna-Taormina che le fu conferito. Ne ebbe un'impressione di autorevolezza che incute incondizionato rispetto, tanto che l'intervistatrice è in imbarazzo nel darle l'immaginario "tu", e così in una domanda le scappa un "sua" anziché "tua".Achmàtova, bellissima e seduttiva, confessa: «Il Signore non mi ha provvisto della corda materna». Infatti, affidò il figlio alla suocera, e praticamente se ne interessò soltanto quand'era studente universitario, per tirarlo fuori dalla galera staliniana. Ma scrive anche: «Non capisco perché molte donne diano così poca importanza alla verginità. Dopo è tutto diverso. Non ci sarà nella vita un'altra "frattura" così decisiva». E ammette di essere stata invidiosa di Marina Cvetaeva forse non solo letterariamente, perché Anna considerava il marito di Marina, quel Sergej Efron, l'uomo più bello che avesse mai conosciuto, «un poema visuale». Il mannello di poesie, alcune tradotte dalla stessa Curzia, che corredano l'intervista è sufficiente a documentare il genio di colei che affermava: «La mia barca ha avuto un fondo di vetro. Ho sempre visto ciò che passava sotto e le profondità dell'Ade».Qui sta finendo lo spazio e non posso soffermarmi su Mat'Marija Skobzova, che è merito di Curzia Ferrari far conoscere in Italia. Poetessa e teologa, Mat'Marija fu amica di Blok. Nell'esilio, di Parigi la sua vita tumultuosa si placò in opere assistenziali e religiose; morì in un lager nel 1945, a cinquantaquattro anni. Nel 2004 la Chiesa ortodossa l'ha elevata agli altari. Forse può bastare per suscitare la curiosità di verificare direttamente nell'inconsueto libro di Curzia Ferrari.
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