giovedì 6 maggio 2021
L'idea che abbiamo di paesaggio nel nostro Paese deriva da una costruzione che è giunta dal dopoguerra a noi a considerarlo risorsa culturale e naturale allo stesso tempo. Un'acquisizione dovuta alle campagne di persone come Antonio Cederna e allo sdegno di fronte al dilagare del cemento. Un atteggiamento "conservazionista", sacrosanto, ma che oggi deve affrontare l'evidenza di un rapido cambiamento climatico. La linea delle vigne, quella di molte colture si sta spostando sempre più a nord, la devastazione dovuta a fortunali, incendi, frane, abbandono ci dice che dobbiamo affrontare nuove sfide. Se fino a ieri potevamo essere ciechi rispetto alla provenienza dei combustibili che ci consentono di vivere come viviamo, (Paesi arabi, centro-asiatici & Co.) oggi dobbiamo privilegiare un tipo di energia che possiamo produrre localmente, rendendoci indipendenti dai combustibili fossili e facendo un bene generale al pianeta.
Nel presentare il decreto sulla transizione ecologica lo stesso ministro Cingolani indica l'obiettivo di 72% di rinnovabili elettriche. Oggi col solare si producono 21mila Megawatt e bisogna invece quadruplicarne la potenza nel 2030 e con l'eolico passare da 10mila a circa 20mila. Un balzo in avanti per mettersi alla pari con la migliore Europa. Costo: la consapevolezza che dall'avere delle "stufe su ruote", come sono oggi le automobili, bisogna passare a un regime completamente diverso della mobilità, basato sull'elettrificazione pubblica e privata. Un'auto elettrica emette almeno la metà di CO2 rispetto a una tradizionale. Perché in Italia c'è un tale ritardo? La risposta è semplice: gli ultimi governi e l'attuale hanno ascoltato più il grido di dolore delle compagnie petrolifere e del gas che quello del pianeta. In questo grido ci sono i "trolls" che producono ogni settimana articoli sui poveri bambini congolesi che ci regalano con il loro sacrificio le batterie, come se le altre attività estrattiviste (per le auto a benzina o diesel) fossero "eque e solidali", mentre sta a noi pretendere che lo siano per qualunque produzione!
Gli altri lai vengono dalla impostazione "sgarbiana" del rapporto con il paesaggio. In un Paese costellato da poli petrolchimici super inquinanti, non si può gridare contro le pale eoliche o contro il progetto delle centrali galleggianti eoliche (a 60 chilometri dalla costa siciliana, distanti tra di loro 3,5 chilometri che proteggerebbero un tratto di mare dalla distruttiva pesca a strascico e contribuirebbero a un fermo biologico) perché sono un obbrobrio estetico - ma chi le vede in alto mare?- e poi chiudere gli occhi di fronte all'inquinamento da plastica e idrocarburi che ci avvelenano la vita.
Ci viene richiesto un salto che le grandi organizzazioni ambientaliste hanno già fatto, ma che quelle puramente conservazioniste non sembrano capire. Oggi siamo di fronte a un conservazionismo anti-ambientalista promosso da coloro che non vogliono il cambiamento da accelerare subito. E che rimandano a favole come l'idrogeno blu - una vera fuffa antieconomica per salvare i produttori di gas (si basa sull'idrogeno grigio, quello che si produce oggi e che emette 9 kg di CO2 per kg di H2 e su una tecnologia tutta da dimostrare e con rischi di micro-sismicità che al largo di Ravenna - dove andrebbe stoccato il CO2 - sarebbe saggio evitare). Bisognerebbe puntare sull'idrogeno verde, ma che sarà competitivo non prima di dieci anni. Sarebbe il momento che i progettisti, gli architetti del paesaggio, gli storici dell'arte, gli urbanisti acquisissero una visione ampia e adeguata alla
sfida climatica. Nel decreto "transizione ecologica" non c'è una parola sull'agricoltura biologica né sulla necessità di ridurre gli allevamenti intensivi e iniziare a cambiare il nostro sistema alimentare.
Qualcosa di positivo nel Piano però c'è: dalle "reti elettriche intelligenti" all'agrivoltaico per consentire la produzione agricola ed energetica al tempo stesso, quella che tenendo alti i pannelli solari consente l'ombreggiatura necessaria a molte colture.
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