mercoledì 12 agosto 2015
Sembra che di Dino Buzzati si sia ormai detto tutto, e invece nuove tessere continuano ad aggiungersi al ritratto mosaicale che la critica ha elaborato intorno a uno scrittore sempre amatissimo dal pubblico, con coaguli di fan cocciuti e insaziabili, quorum ego.Il primo merito del piccolo saggio di Cristina Lardo, «Ci vorrà naturalmente una guida». Memoria e dialoghi nell'opera di Dino Buzzati (Edizioni Studium, Roma 2015, pp. 116, euro 12) è di attirare l'attenzione sull'estremo libro di Buzzati, I miracoli di Val Morel, pubblicato da Garzanti nel novembre 1971 (Buzzati morirà il 28 gennaio 1972, a sessantasei anni). Nato inizialmente come catalogo della mostra buzzatiana alla Galleria del Naviglio di Venezia (1970), il libro non solo dice l'ultima parola su Buzzati pittore (è noto che l'autore del Deserto dei Tartari amava considerarsi un pittore prestato alla letteratura), ma fornisce una chiave profonda del suo pensiero. Infatti, i trentanove ex voto, dedicati a immaginari miracoli di Santa Rita, dipinti in stile naïf e commentati da un fumetto interno che esibisce la grafia elementare di Buzzati (nel mio studio ho incorniciato un poster dell'ex voto in cui santa Rita libera un devoto dalle "formiche mentali"), riassumono il fantastico, l'ironia, il buonumore, il mistero di Buzzati, ma sono, innanzitutto, ex voto, cioè storie a lieto fine, che si concludono, ogni volta, col miracolo compiuto da una santa di larghissima devozione popolare. È la conferma di una religiosità mai esibita, ma mai negata, che già Lucia Bellaspiga aveva pudicamente rintracciato in «Dio che non esisti ti prego» (Edizioni Ancora, 2006).Il secondo merito di Cristina Lardo, che insegna Letteratura italiana all'Università di Roma "Tor Vergata", è di far entrare Buzzati, in qualche modo, nel canone del Novecento. Troppo spesso egli viene considerato come una specie di masso erratico nella letteratura italiana, un "caso" senza antenati. Invece Buzzati era attentissimo all'attualità letteraria, oltre che buon conoscitore della bibliografia storica. Egli stesso diede qualche indizio nel dialogo con Yves Panafieu, Dino Buzzati: un autoritratto (Mondadori 1971), al quale Lardo attinge opportunamente. Si mettono in luce, in tal modo, gli influssi leopardiani e pascoliani, le tangenze ammirative per Gadda e Marotta, la valorizzazione degli scrittori umoristici (Achille Campanile in primis), fra i quali Buzzati stesso non disdegnava di essere annoverato. E, in collegamento col tono dei Miracoli, riflettori sulla collaborazione di Buzzati con musicisti come Luciano Chailly e Gino Negri che ha prodotto operine non irresistibili ma sempre riconoscibili come Ferrovia sopraelevata, Un caso clinico, Era proibito, Una ragazza arrivò.Anche il Buzzati poeta (posseggo la copia di Il capitano Pic e altre poesie autografatami dall'autore) viene recuperato nella rivalutazione dei dettagli che l'autrice compie per giungere al cuore del modo di essere, cioè di scrivere, buzzatiano.Le fonti principali a cui la professoressa Lardo si abbevera sono, oltre all'Autoritratto di Panafieu, gli Atti dei convegni organizzati dalla compianta Nella Giannetto, animatrice dell'Associazione e del Centro Dino Buzzati, di Feltre, pubblicati da Mondadori negli anni 1992, 1995, 2000; è valorizzato un intervento di Andrea Zanzotto al convegno su Buzzati del 1980, a Venezia, i cui Atti, a cura di Alvise Fontanella, sono stati pubblicati da Olschki nel 1982. L'autrice trova "illuminanti" anche gli studi buzzatiani più recenti di Stefano Lazzarin. Di suo, ella ci mette l'"epitome", l'"epesegesi", l'"istanza narratologica" e qualche "cronotopo" (almeno quattro), ma il suo lavoro è comunque una bella conferma della lezione di Ezra Pound, il quale sosteneva che l'atto critico essenziale è la compilazione di un'antologia.
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