mercoledì 19 febbraio 2014
Il primo a raggiungere la mia piccola Jasnaja Poljana, la domenica, era regolarmente il non più giovane imbianchino, Pierino. Il bicchiere di barbera che gli veniva versato, lo teneva fra le mani tutto il pomeriggio. Solo a sera, prima di partire, lo tracannava un po' rumorosamente, d'un fiato, e via andare. Purtroppo non erano molte le occasioni di lavoro per lui; pare non vedesse bene, lasciando a volte qualche chiazza, priva di colore, sulle pareti da tinteggiare. Aveva fatto la I guerra mondiale e me la raccontava a puntate, come Caporetto nei versi di Delio Tessa. Quella volta in cui, in fuga inseguito dai Croati, salvò un compagno che, avendo gambe corte e storte, finì nel fosso che cercava di saltare; gli allungò il calcio del fucile perdendo attimi preziosi rispetto alle baionette incalzanti dei nemici. In altra occasione, fu fatto prigioniero, l'ufficiale che lo interrogava aveva baffi lunghissimi, e qui Pierino allargava le braccia completamente per darne l'imponente misura. Quando l'imbianchino non era in attività, con le sue lattine e i suoi pennelloni, in bicicletta, girava per le strade di campagna dove, ispezionando le cappelle votive, ritoccava i cieli dei quali era diventato un frequentatore, assiduo ed ignoto.
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