martedì 3 dicembre 2019
Sarà mai possibile scrivere un giorno una storia europea condivisa? Riusciremo in futuro a stendere insieme una narrazione del passato comune ai nostri popoli, che a grandi linee venga accettata da tutti?
O che quanto meno rinunci ad attizzare il fuoco delle antiche rivalità? Obiettivo impensabile fino a tutto il secolo scorso, attraversato dai più sanguinosi conflitti bellici mai sperimentati prima, oltre che devastato dai più inumani totalitarismi di ogni epoca, il millennio che si è aperto da poco potrebbe finalmente segnare una svolta. Un domani non lontano vedrà – forse! – testi scolastici, su carta o su schermo, in cui il racconto degli eventi sarà più libero dai condizionamenti nazionalisti, dal bisogno di enfatizzare le proprie vittorie e le altrui sconfitte, dai pregiudizi e dagli stereotipi etnici alimentati per secoli.
Un primo passo in questa direzione, piccolo ma significativo, è stato compiuto martedì scorso, proprio poche ore prima che la nuova Commissione Ue decollasse nella grande aula dell'Europarlamento di Strasburgo, grazie al voto favorevole a larga maggioranza per l'esecutivo guidato da Ursula von der Leyen. A Parigi, sotto l'egida stavolta non dell'Unione ma del Consiglio d'Europa, ha preso corpo un progetto poco pubblicizzato ma alquanto ambizioso, che per ora coinvolge 23 Paesi ma che resta aperto a nuove adesioni. Si tratta di un "Osservatorio" europeo sull'insegnamento della storia, proposto dalla presidenza di turno francese del Comitato ministeriale, nell'ambito della Convenzione culturale europea firmata 65 anni fa.
Può apparire deludente constatare che, tra i 28 membri della Ue, al momento solo una decina hanno sottoscritto la dichiarazione istitutiva. Fra questi, oltre a Francia e Italia, figurano Spagna e Portogallo, Grecia e Irlanda. Mentre mancano ad esempio Germania e Polonia, oltre a tutti i nordici e ai baltici. Ma colpisce positivamente l'adesione di Russia, Turchia e Armenia, così come il consenso di paesi balcanici come Albania, Serbia, Macedonia, Montenegro, tuttora percorsi da fermenti e inquietudini interni non trascurabili.
Naturalmente i promotori del l'Osservatorio, che dovrebbe essere attivato concretamente entro l'anno prossimo anche grazie a un finanziamento di 200mila euro messo a disposizione da Parigi, non si sognano neppure di voler dettare un insegnamento uniforme della storia. Tantomeno possono toccare le prerogative dei singoli governi sul terreno dell'istruzione pubblica, se non altro perché la cornice del Consiglio d'Europa non lo consentirebbe, non essendo frutto di un trattato che vincola gli aderenti come avviene nell'Unione.
L'iniziativa prende invece le mosse da una constatazione: che a 70 anni dalla nascita del Coe e dalla firma della Carta europea dei diritti dell'uomo, rispuntano qua e là rischi di manipolazione della storia, di letture belliciste, che puntano a ridestare vecchi rancori e ostilità nazionali, oltre a nuove forme di razzismo e xenofobia e a rigurgiti di antisemitismo. L'Osservatorio dovrà quindi stimolare al meglio il confronto pacifico di opinioni, suscitare scambi di esperienze e contatti, sempre sul terreno dell'insegnamento e della promozione culturale.
Un terreno molto importante e delicato potrà essere ad esempio il confronto fra chi elabora i programmi ministeriali. Perché è inutile nasconderselo, la lotta ai pregiudizi e il contrasto alla mentalità rivalitaria nasce tra i banchi di scuola. E se al momento è inimmaginabile sperare che turchi e armeni arrivino a mettersi d'accordo sul genocidio di inizio '900, già non è poco che ci si parli guardandosi negli occhi anziché attraverso mirini e puntatori di armi oggi ben più distruttive di un secolo fa.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI