martedì 30 giugno 2020
Subito dopo la morte di san Francesco, il fedele frate Elia manda una lettera enciclica a tutte le province dell'ordine e il papa Gregorio IX, amicissimo del Poverello, preparò il processo di canonizzazione. In quel contesto fu preziosissima la Vita prima del francescano abruzzese Tommaso da Celano, tra tutte le biografie forse la più vicina, non fosse che per questioni cronologiche, alla vita del Santo. Da quel testo ci piace riportare un frammento, il cui contenuto è celeberrimo ma molto difficile oggi da trasmettere con la semplicità di Tommaso. Dopo averci narrato quanto, prima della conversione, Francesco odiasse i lebbrosi, esiliati dal mondo "civile", Tommaso riporta che Francesco, «Nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari (...) un giorno gli si parò contro un lebbroso: fece violenza a sé stesso, si avvicinò e lo baciò». Trovo questo passo di un'attualità sconvolgente. Come tutto ciò che reca un'impronta divina è fuori dal tempo e pure lo condiziona, quasi gli sussurra un'altra Verità, l'unica. I malati, attraverso un semplice atto, non sono più qualcosa da cui difendersi, e gli emarginati non sono esseri da allontanare ma, simbolicamente e concretamente, da "baciare". Allontanare, isolare non è mai proteggere e, ancor di più, non è salvare.
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