sabato 6 marzo 2021
Non ti ricordi? Quante corse sui prati quando le montagne ci guardavano dall'alto, mentre il ragazzo che teneva le mucche in ordine sorrideva nascosto dal cappello quando una di noi inciampava e cadeva sul fieno appena tagliato. Lulli ti chiamavano anche se il tuo nome era Carla. Tu ridevi allora sotto i tuoi capelli ricci e gonfi di vento, io con le mie treccine chiare legate con un nastro gridavo per la gioia di vivere. Ora, mia cara ed amata cugina hai trovato aperta la via del cielo e sei fuggita in fretta senza potermi dire un addio , un arrivederci. Eravamo nate lo stesso giorno del medesimo anno e, pur crescendo in città lontane, sognavamo i mesi d'estate quando le nostre case sorgevano vicine tra i meravigliosi prati e boschi del Trentino. L'erba appena tagliata, lasciava il suo acre profumo e noi si correva dall'inizio della collina ondulata fino alla strada con le braccia aperte come per possedere l'aria, il sole, la vita. Così ci siamo amate anche vivendo in due città diverse e lontane, mentre con i libri sotto il braccio si seguivano i medesimi studi. Io sapevo che anche tu, quando iniziava la primavera cominciavi a sognare il profumo acre dei boschi dopo la pioggia, il sapore delle fragole e dei lamponi che allora crescevano tra abeti e pini e larici in una natura che sembrava scherzare tra la varietà delle sue piante. Il tempo volava in fretta con i nostri anni, i tuoi capelli ricci e scuri si lasciavano vedere da lontano e tu sapevi che a mezzogiorno ero io che dietro la casa battevo il gong per avvertire che il pranzo era pronto. Passeggiare nei boschi, arrivare sulle cime più alte, respirare quell'aria acuta che il sole aveva appena prosciugato dalle piogge della notte dava all'anima un senso d'eternità piena e felice. Poi la guerra ci tenne lontane in una Italia divisa, ma quando alla fine non ci accorgemmo di essere cambiate perché lo sguardo, l'abbraccio, la risata piena erano ancora gli stessi della nostra prima giovinezza. Al posto del gioco trovammo un lavoro uguale: io in una stanza del Viminale, dove allora aveva sede la Presidenza del Consiglio, e lo studio di mio padre che tu chiamavi "zio Alcide " mentre tu lavoravi al piano di sotto in un importante ufficio. Uno strano destino ci aveva riportate vicine, ma gli anni passano veloci, ci regalano sorrisi e lacrime, abbracci di un amore lontano e profondo, ma anche lunghi silenzi sulle pene sofferte da una o dall'altra. Gli anni passavano davvero veloci, ma le nostre case di Sella avevano conservato per noi il profumo di quella giovinezza condivisa dove il sorriso aveva un posto più largo del pianto. E dove l'estate sembrava allungarsi al di là del tempo che gli altri contavano sulle dita e noi invece nel nostro comune sorriso. La tua ultima solitaria pena ha trovato posto anche in questi ultimi anni nel mio pensiero mentre ti sognavo ancora giovane correre sui nostri prati e vorrei che tu sentissi la mia voce gridarti con affetto: non passerà molto tempo, arrivederci.
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