martedì 2 luglio 2013
Ci sono parole che aprono e parole che chiudono. Parole indefinite che portano con sé possibilità innumerevoli, che odorano di vento e di mare, che sono capaci di assumere mille diverse sfumature. E parole che chiudono lo spazio e il tempo intorno a loro, che non consentono il sogno e forse nemmeno il movimento. Ci sono libri fatti di parole pesanti come macigni ed altri composti di parole leggere come le nuvole, che alludono invece di descrivere, suggeriscono invece di dire. Parole che appartengono allo spirito errabondo del flâneur. La parola “tracce” è una di queste: tracce sono i documenti, che danno appoggio alla realtà e la definiscono, ma tracce sono anche quelle dei passi sulla sabbia prima che il vento le cancelli. Tracce sono quelle che gli storici inseguono per ricomporre la realtà fattuale, per dare un nome ai fantasmi e alle cose. Perché anche le illusioni e i sogni hanno bisogno di nomi. Ma traccia sono anche il respiro impercettibile del fantasma e il mondo visto da lontano quando la nebbia ne confonde i confini. Tracce sono i frammenti che lasciano spazio all'invenzione, che si possono tanto ricostruire che reinventare. E per questo l'ho scelto, perché mi lasci sia la libertà di raccontare sia quella di vagabondare.
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