martedì 9 settembre 2014
L'Italia torna in campo questa sera non con spirito amichevole – l'Olanda di Bari fu molto amica – ma con il piglio guerriero “alla Conte” per le qualificazioni al prossimo Europeo. Nel 2006 fu Roberto Donadoni a riceverla Campione del Mondo dalle mani di Marcello Lippi con l'impegno di confermarne se non rinnovarne la gloria, pura Resistenza; sempre da Lippi la ereditò Cesare Prandelli, però con un mandato preciso: Ricostruzione. Dalla disfatta prandelliana in Brasile si è passati alla Rivoluzione e l'uomo giusto per gridare “allons enfants” è parso Conte, un po' troppo ricco per chiamarsi Robespierre ma obiettivamente abitato da bollenti spiriti. E così siamo all'ennesimo ritorno di quella squadra che l'Immaginifico Gabriele - già inventore dello Scudetto - se gliel'avessero chiesto avrebbe ribattezzato “la Rinascente”, valori patriottici e commerciali inclusi. Come nel '50, nel '62, nel '66, nel '74, nell'86 e nel 2002: non sempre rinacque, la Nazionale, sicuramente recuperò dignità e forza nel '66, dopo essere stata umiliata da un tipografo della Corea rossa, e nel '74, quando i ricchi azzurri furono ridicolizzati dai poveri polacchi, quasi si recitasse un copione sociopolitico. Testimone di quei tempi e di quegli eventi, posso serenamente affermare come il momento attuale del calcio azzurro sia il peggiore, soprattutto il più povero di speranze e intelligenza. La Rinascente di Bari ha avuto un'accoglienza trionfale, forse proprio perché chiamata a cancellare la pessima esibizione brasiliana e anche perché è tipico del nostro mondo (calcio compreso) abbattere con infamia i capi perdenti, pronti peraltro a riportarli sugli altari davanti alla pochezza dei successori: non sarà - me l'auguro - il caso di Antonio Conte, tecnico vincente non a chiacchiere ma con i fatti, e tuttavia lo immagino presto sofferente per penuria di uomini che sarà costretto a cercare a Sassuolo piuttosto che a Milano, Roma, Napoli e Torino. Conte è grande ma è Zaza il suo profeta. Se verrà una riforma, avrà bisogno di tempo: mi consola il fatto che Tavecchio stia affrontando l'argomento “più italiani in campo” servendosi anche di un mio suggerimento: l'obbligo di ogni squadra di schierare in campo almeno quattro italiani. Si vedrà. Ma quanto tempo ci vorrà? Nel frattempo la Rinascente è chiamata ad affrontare la qualificazione per l'Europeo del 2016: gli avversari - stasera la Norvegia, poi Malta e Croazia - e il torneo a 24 inducono a ottimismo. Ma non si farà molta strada se nel frattempo non saranno smaltiti i veleni tavecchiani, ovvero la minacciata disaffezione della Juve, massima fornitrice di azzurri, la speciosa guerra a Lotito, colpevole di avere fortissimamente sostenuto il Tavecchio, e la malcelata antipatia nei confronti del costoso Conte, oggi salutato con sospetto trionfalismo, domani esposto al pubblico ludibrio se non collezionerà vittorie. La sua Nazionale, pur povera, è parsa ai media - forse perché appagati dal sacrificio di Balotelli - fin troppo bella. A proposito, un consiglio a Enock Barwuah, fratello di Supermario: lasci perdere il calcio, il partito di chi grida “non esiste un bresciano nero” è troppo forte. Verrà giorno in cui anche Balotelli - come Ribery - rifiuterà la convocazione azzurra.
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