martedì 10 gennaio 2017
Fuori dal Comune, e dopo le feste, mi ritrovo ancora una volta frustrato dal panettone mancato. Già: anche quest'anno la mia amministrazione non ha potuto offrire ai dipendenti comunali la tradizionale fetta di panettone (di uno intero per ciascuno non se ne parla nemmeno!) durante l'altrettanto tradizionale scambio degli auguri natalizi in municipio. Mi correggo: dolce e spumante ci sono stati, sì, però gentilmente offerti da uno sponsor (il fornitore dei pasti alle mense scolastiche), perché all'amministrazione pubblica pare sia tassativamente vietata questa indebita «spesa di rappresentanza».
Sono dunque in grado di comprendere il gesto della sindaca Chiara Appendino, che a Torino ha scelto di pagare di tasca sua il brindisi con il personale del Comune: 3.000 euro per 1.300 persone, che la signora ha sborsato – riferiscono i giornali – per salutare e porgere gli auguri di persona a ciascuno, in quanto «la nostra forza è essere comunità. Sto imparando a conoscervi e quello che fa la differenza è l'umanità che avete». Condivido in pieno (anche la giunta cui appartengo una volta ha compiuto la medesima scelta); e fin qui l'ammirazione per la prima cittadina cinquestelle.
Ma poi ci metto pure un poco di critica (e non quella dell'esposto anonimo che alcuni dipendenti hanno lestamente spedito in Procura per segnalare come anomali alcuni particolari organizzativi della festa: i sindaci non sono mai tranquilli, nemmeno quando pagano in proprio...). La perplessità consiste nel fatto – certo inconscio – che l'atto generoso della première dame della Mole ha creato un brutto precedente per i suoi colleghi della Penisola: non solo perché, se lei si può permettere (così si dice) la spesa, non è detto che altrettanto possano fare tantissimi altri sindaci nello Stivale; ma soprattutto perché è profondamente ingiusto, persino diseducativo che tocchi ai borgomastri o comunque ai politici pagare il panettone ai dipendenti pubblici.
Si tratta al contrario di un'umiliazione – e di una pessima immagine dell'amministrazione statale – rendere di competenza "privata" ciò che in qualunque azienda o comunità è vissuto come gesto non si dice dovuto, ma di legittima riconoscenza e simbolico riconoscimento alle persone con cui per tutto l'anno si collabora. Ci sono giunte che hanno dovuto rinunciare persino all'acquisto delle medagliette d'oro tradizionalmente distribuite ai dipendenti incamminati verso la pensione, dopo 30 e 40 anni di servizio, per non incorrere nel «danno erariale» e nello «spreco di denaro pubblico» (che in effetti solerti Corti hanno davvero contestato).
Beh, da piccolo amministratore sostengo che un «danno erariale» ben maggiore si fa impedendo queste minime espressioni di partecipazione umana. Com'è possibile, infatti, richiedere a un impiegato pubblico di esprimere ai cittadini una vicinanza che vada al di là del semplice impatto burocratico, esortare a un calore e a uno spirito collaborazione tra colleghi, se poi lo Stato medesimo nega la miseria di una fetta di panettone a Natale e di un dono a fine carriera?
Certo, so bene che questo è l'esito di centinaia di scandali per "spese pazze" e rimborsi a enne cifre per regalie intollerabili; tirare bruscamente le briglie all'andazzo era più che necessario e doveroso. Ma di qui a far le pulci persino sulle uvette del Galup, forse una via intermedia si potrebbe (e dovrebbe) anche trovare... Tanti anni fa, nelle drogherie vedevo campeggiare un cartello a rima baciata: «Per colpa di qualcuno/ non si fa credito a nessuno»; io – cliente onesto – l'ho sempre trovato offensivo.
r.beretta@avvenire.it
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