venerdì 10 settembre 2021
Riso amaro di Giuseppe (Peppe) De Santis fu nel 1949 il “caso” per eccellenza del nostro cinema, un successo internazionale pari e superiore a quelli di Roma città aperta e Paisà e di Ladri di biciclette, ma anche, stavolta, non solo critico, anche di pubblico. Rispetto al nascente canone neorealista, aveva di diverso un'incredibile carica erotica (lanciò Silvana Mangano, che insieme a Lucia Bosè è stata la più bella “diva” del nostro cinema) e una storia che sfiorava il fumetto o il melodramma, anche se lo sfondo era di indiscutibile autenticità, da un'inchiesta di Corrado Alvaro: le risaie piemontesi, e per l'esattezza una risaia di cui era proprietario Gianni Agnelli in persona, che ne concesse l'uso, nonostante sapesse che si trattava di un film “di comunisti” perché invaghito dell'altra “mondina” del film, l'americana Doris Dowling. Doris era stata a Hollywood un amore di Billy Wilder, che l'aveva messa in Giorni perduti, mentre la sorella Constance era stata una storia di Elia Kazan e fu in Italia la causa, si disse, del suicidio di Pavese. Secondo De Santis erano due informatrici dei servizi segreti americani sugli ambienti culturali della sinistra italiana di allora... Peppe De Santis era ciociaro e dedicò alla sua piccola patria due film esemplari, Giorni d'amore, commedia corale di vita contadina “disegnata” in ferraniacolor da Purificato, con Mastroianni e una Marina Vlady giovanissima, e Non c'è pace tra gli ulivi, storia di un'occupazione di terre, con la Bosè e Raf Vallone, mentre un successivo La strada lunga un anno raccontò uno “sciopero a rovescia” di disoccupati meridionali ma fu girato in Jugoslavia per i tanti divieti della censura. L'ambizione di De Santis era di unire il modello del grande cinema russo con quello americano più classico, Mosca e Hollywood, di piacere al grande pubblico ma veicolando forti storie sociali e messaggi di rivolta. (Un'impresa simile fu tentata più tardi da Bertolucci con i due atti di Novecento.) Dobbiamo a De Santis anche un lungo film di montaggio sulla Resistenza realizzato a guerra appena finita, Giorni di gloria, e uno dei più forti film sull'occupazione nazista e la reazione contadina in Emilia-Romagna, Caccia tragica. Confesso di aver voluto molto bene a De Santis e al suo allievo più fedele, Elio Petri, anche se spesso litigandoci, e so che anche loro me ne hanno voluto. Dei film di Peppe mi colpiva l'ansia di toccare il pubblico più vasto e di emozionarlo e convincerlo, ricorrendo a una grande tradizione che non era solo quella del cinema epico e del fotoromanzo, ma anche dei Miserabili (che fece in cinema un regista che lui detestava e io no, Riccardo Freda) e di Rigoletto e del Trovatore...
Ps: a causa di una svista, nella scorsa puntata della rubrica “I dimenticati”, dedicata a Mario Pomilio, non è stata citata la nuova edizione del romanzo La compromissione, pubblicata nel 2020 Bompiani a cura di Giuseppe Lupo. Ce ne scusiamo con i lettori [ndr].
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