martedì 10 settembre 2013
A 62 anni Cicerone, per esortazione di Attico, compose un'operetta sull'amicizia. Non espresse le sue opinioni personalmente, ma le divise artisticamente in forma di colloquio, all'uso greco, e mise in scena quel famoso «Lelio, detto il Saggio». Questi aveva trascorso tutta la vita con l'amatissimo Scipione Emiliano che molti chiamano Africano Minore, Cicerone immagina che questo colloquio sia avvenuto tra Lelio e due giovani colti e nobili, poco tempo dopo la morte dell'Africano Minore. I giovani vedendo che Lelio sopportava serenamente il proprio lutto gli chiesero come potesse reggere a tanto dolore: «Non piango l'amico defunto: piange di se stesso chi pensa di piangere per aver perso un amico. Infatti chi ha compiuto il tempo di sua vita dopo aver compiuto tutto ciò che aveva avuto nei progetti non può esser angustiato da alcun dolore: non dico tanto della gloria militare o dei trionfi, o del prestigio che meritò nell'esercitare i suoi compiti civili per lo stato: ma egli fu soprattutto un amico fedele verso i cittadini onesti ed attrasse a sé l'amicizia delle brave persone. Speriamo forse che sperasse o volesse diventare immortale? L'amicizia è per cosìdire un privilegio tra le persone buone e dedite alla virtù. Sbaglia gravemente chi pensa che l'amicizia vada curata solo perché può essere di utilità. Non l'utilità ma la vera virtù è madre e nutrice delle amicizie: infatti dall'amicizia siamo spinti alla virtù e ne usciamo migliori di quanto eravamo prima. Abbiamo ora detto delle amicizie che fioriscono tra persone colte e sagge, ma talvolta se ne trovano altre che non mirano alla virtù ma alla segreta complicità nei vizi. Per lo più le amicizie si stringono fra pari, ma che accade se gli amici differiscono per età o rango sociale? Usino gli amici un po' di prudenza e tutto si risolverà onorevolmente. Del resto in quali vicende umane non va usata la saggezza, unendovi in più un pizzico di sale?
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