sabato 23 marzo 2013
Parole, per "Lupus" agrodolce. Ieri su Avvenire (ma anche su "Il Giornale") leggo che il noto giornalista Verbitszky ha riconosciuto senza fondamento le sue accuse ripetute per anni contro colui che oggi è Francesco. Ebbene: questo riconoscimento noi non lo leggeremo su tanti giornali, in particolare "Fatto" e "Manifesto", che per anni hanno diffuso a piene pagine quelle calunnie. Così dalle nostre parti. E anche peggio. L'altro ieri raccontavo della citazione offensiva nei confronti delle donne falsamente attribuita sul "Fatto" al Papa da Lidia Ravera. Lei l'ha pescata su "Dagospia", celebre sito di chiacchiere. Una citazione falsa, provata come tale, messa in pagina senza alcuna verifica, solo per il gusto pregiudiziale di offendere tutto ciò che dice Chiesa e ovviamente Papa… E non basta. Nell'attesa forse vana della smentita e delle scuse dell'autrice e del giornale, la stessa sera in cui scrivevo la Ravera è divenuta "assessora alla cultura" della nuova giunta regionale del Lazio. Strana idea di cosa sia il prestigio culturale. A prima vista pare una mossa culturalmente e anche politicamente sbagliata: la speranza è di essere smentiti... Comunque, "Fatti" altrui! Vengo ai nostri, stavolta in bene, e torno all'importanza delle parole. In pagine multiple poco rilievo al fatto che parlando ai delegati di Chiese e altre religioni, in risposta a Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, Papa Francesco lo abbia subito chiamato «mio fratello Andrea». «Andrea»? Un salto vertiginoso all'"Ut unum sint" del Cenacolo dove proprio Pietro e suo fratello Andrea erano insieme? In una sola parola il ritorno alle origini, «in spe contra spem» per ricominciare davvero, nella luce unica dello Spirito.
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