giovedì 24 luglio 2008
«Il Papa e Bush uniti negli errori» ("La Stampa", 22/7, p. 37). Hans Küng bacchetta i due leader «fallibili» che, «pur diversissimi, hanno molto in comune». Unico apprezzamento per Benedetto XVI, e motivato: è «capace di imparare. Dopo tutto ha concesso a me, suo critico, un'amichevole conversazione nel corso della quale ha dimostrato una sorprendente capacità di fare passi avanti». Il parallelo tra i due è bizzarro, ma se ripensi l'avventura teologica di Küng e i suoi esiti fino alla rottura, ricordi che il suo scritto capitale, "Unfehlbar?", muove dal giudizio sull'"Humanae Vitae", per lui senza dubbio fehlbar (fallibile) e fehlerhaft (sbagliata), e giunge alla negazione piena dell'"infallibilità" come definita dal Concilio Vaticano I, propria della Chiesa e "appropriata" al vescovo di Roma. Che dire? Nei fatti dovrebbe essere noto che l'"Humanae Vitae", pur essendo espressione pienamente autorevole del Magistero papale, non ha la nota specifica della "infallibilità". Paolo VI volle che la cosa fosse precisata esplicitamente nella presentazione ufficiale alla stampa da mons. Ferdinando Lambruschini, e la manifestò in vari discorsi agli sposi, tra cui uno memorabile alle Equipes Notre-Dame ricevute a Roma (4/5/1970). Ma per contrappasso ricordi anche che, come Küng, a sostenere apertamente la vera e propria infallibilità dell'"Humanae Vitae" era la corrente più "conservatrice" della teologia "romana" di fine anni '60. Dunque una singolare identità di posizione tra Küng e i teologi più integralisti di Curia. Non è strano: gli estremi si toccano, anche in teologia.
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