giovedì 30 novembre 2017
Ieri ("Giornale", p. 14) «Il Papa "richiama" San Suu Kyi», con valutazione: «Chiaro riferimento alla minoranza islamica Rohingya». Spicca l'aggettivo "chiaro", vista la fonte di solito sempre di traverso per parole e gesti di Francesco. Non proprio così altrove. "La Stampa" (p. 27): «In Birmania il Papa tra fede e realpolitik… le parole pronunciate sono ineccepibili, ma sono state fortemente indebolite dall'intenzionale assenza del nome identificante il popolo» perseguitato con «questa concessione nominalistica…». Sul "Fatto" «Una Nobel e un Papa: dribbling ai Rohingya». Riassume tutto "Il Sole" senza sottintesi: «Francesco: rispettate ogni gruppo etnico». E quel "ogni" vale come indirizzo, preciso e senza boomerang che peserebbero proprio su chi già soffre di più. Invece su "Repubblica" un "ma": «Il Papa pensa ai Rohingya, ma non li cita». E così avanti. Che dire? Libertà di leggere per tutti, ma vale la pena di ricordare un principio che - dal principio! - appare caro a Francesco: «la realtà è più forte delle idee». E stavolta la realtà c'era! Era lì davanti a lui, il popolo, anche quello "non nominato", insieme a tanti altri popoli anch'essi non nominati. E davanti a lui anche quella donna, "Nobel" che non ha bisogno di essere nominata: c'è, invitata, salutata, abbracciata! Coerenza e prudenza, realismo e coraggio, ideale e reale si incontrano talora, e dicono tante cose, forse tutte, anche quelle non dette per una ragione che pesa, e contraddetta peserebbe soprattutto sulle spalle già colpite e discriminate… Così anche stavolta, con buona pace di chi apprezza solo le guerre e le resistenze che vanno nella direzione che vuole lui. A migliaia di chilometri da Roma il vescovo di Roma «presiede alla carità» universale. Nei secoli Roma, Avignone, ancora Roma, e poi Paolo VI a Gerusalemme. E da lì ovunque e sempre…
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