sabato 24 ottobre 2020
Gran discutere le parole di Papa Francesco sul riconoscimento dei diritti civili e del rispetto per le persone omosessuali. Purtroppo il tutto è cominciato male in pagina. Giovedì (“Corsera” 22/10, p. 15) in due interviste a uomini di Chiesa noti ambedue per la loro autorevolezza dottrinale, leggi che il vescovo Marcello Semeraro, «appena nominato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi» sarebbe «favorevole» alle parole del Papa – «Basta rigidità. Così si sostiene e accompagna ogni persona» – mentre Edoardo Menichelli, primo tra i porporati “creati” da Francesco sarebbe «critico». È così? No, giacché trovi lo stesso sguardo al problema dei diritti delle persone omosessuali all'interno sia della società sia della Chiesa. Certo: per secoli sia da parte della Chiesa che da parte dei poteri civili gli omosessuali sono stati non solo respinti, ma anche oppressi e talora perseguitati fino alla morte. E allora? Davvero parole del tutto nuove e sconvolgenti quelle di Francesco? La Chiesa fino a Benedetto XVI nei confronti degli omosessuali e dei loro diritti sociali e religiosi ha avuto un unico atteggiamento di repressione e rifiuto di accoglienza? Un falso! E bene ha fatto ieri qui (p. 7) Luciano Moia a ricordare che da tempo nei documenti ecclesiali il rifiuto non è della persona omosessuale, ma dei suoi comportamenti. E questo ben prima di Amoris laetitia. E infatti a parte il rinnovato, rigoroso ma accogliente approccio del Catechismo, l'unico documento postconciliare sul problema, la Dichiarazione Persona humana dell'ex Sant'Uffizio, firmata nel 1975 dal cardinale Franjo Seper e approvata da Paolo VI dà chiaro giudizio morale sulla omosessualità, ma nei confronti della persona è tutt'altro che dispregiativo e respingente. Il modello evangelico implica sempre il rifiuto del peccato, ma l'amore della persona e la difesa della sua dignità nella Chiesa e anche nella società civile: un compito comune.
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