martedì 8 dicembre 2020
Qui da noi è di sabbia. Fragile, imprevedibile, sconcertante, insistente, resistente e dappertutto. Ovunque si guardi. La pandemia di sabbia è come un'evidenza che non ha bisogno di dimostrazione. Forse per la latitudine, l'inclinazione del globo terrestre, la giovane età media, l'imprevidenza, il calore e le resistenze alle altre malattie infettive, questa pandemia da noi non riesce a emergere. Importata e poi trasmessa come polvere, senza direzione o continuità, si adatta, agli avvenimenti e alle circostanze che nel Sahel confezionano la storia. Le nostre maschere sono di polvere e quanto al distanziamento è come per i "gesti barriera", intrisi di vento e di sole: inutile. Quanto la nostra democrazia e le campagne elettorali, di sabbia, come le liste approvate dalla Corte costituzionale, come le Commissioni elettorali che di indipendente hanno poco più del nome. Di sabbia è questa pandemia e nessuno potrà convincerci del contrario, neppure il vaccino, composto anch'esso di sabbia e di soldi.
Hanno chiuso le scuole, gli aeroporti e, ufficialmente, le frontiere terrestri. Queste ultime sono aperte per chi viaggia di frodo, paga ed esibisce documenti fasulli in cui nessuno crede e ai quali nessuno è interessato. Qui non si capisce perché bisogna mascherarsi nelle chiese e (meno ancora) nelle moschee quando per il resto del tempo è la sabbia a far da filtro ai virus più maligni. Ma quello della miseria continua imperterrito ad agire, con la complicità attiva e fattiva della classe politica. Arrivano, talvolta, allarmanti notizie su una possibile seconda ondata di infezioni quando neppure ci si era abituati alla prima. Nel Sahel la sabbia propone e spesso impone altre priorità. Il cibo, l'acqua potabile, la scuola che funzioni e non costi troppo, l'igiene delle case e una sanità che non sia solo obitorio. La giustizia, sola garante della pace duratura, è anch'essa attraversata dalla sabbia e a poco valgono Commissioni che non vanno oltre i rapporti buttati al vento.
Qui da noi il peggiore dei virus è la fame. Avanza con la complicità violenta dei gruppi armati. Secondo le Agenzie specializzate, nella prossima primavera la carestia potrebbe colpire la prima tra tutte le sicurezze, quella alimentare. Si calcola che, da ottobre, nei Paesi presi in esame nel Sahel e in Africa Occidentale, oltre 16 milioni di persone siano alla fame. Potrebbero diventare 24 milioni, se i politici di sabbia, e quanti hanno responsabilità, non faranno nulla per cambiare la situazione. I Mirages francesi, i droni americani, l'operazione Barkhane, la forza congiunta del G5 Sahel… oltre ad altre centinaia di istruttori militari, sono con tutta evidenza inadatti allo scopo. Da queste parti anche la pace è di sabbia e non si fonda su nulla che possa garantirne esistenza e compatibilità col Sahel. È in questo contesto che le elezioni, presidenziali e politiche, hanno luogo e, fatte lodevoli eccezioni, come recentemente in Burkina Faso, lasciano al futuro un'eredità di rancori e morte.
Sono di sabbia le nostre e le vostre leggi che non fanno che favorire potenti che finanziano politici che poi confezionano le leggi a loro funzionali. Non temete, ce la caveremo anche stavolta e il Covid, che tanto temete e dal quale vi vaccinerete presto, qui da noi resta sabbia. Si accumula, si sposta da un'altra parte e poi torna esattamente dov'era, nel lavoro incessante del vento e della storia che a sua volta altro non è che sabbia che alcuni cercano di vendere come nuova. Magari poi il vaccino arriverà pure qui, come un diritto offerto ai poveri che non possono che adeguarsi al sistema di comando. Però non cambierete le regole del mercato, dell'incetta di materie prime e dello sfruttamento della mano d'opera a basso costo. Un'economia di sabbia che rischia di inghiottire tutti. Noi qui navighiamo in una nave di sabbia e arriviamo a migliaia sulle coste delle isole Canarie. Fosse vero che siamo tutti nella stessa barca condividereste lo stesso naufragio nostro. E la stessa sabbiosa speranza.
Niamey, dicembre 2020
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