giovedì 10 dicembre 2009
«AA modo mio"»: così Lucio Dalla. A modo loro: così i giornali anche sulla religione. Giusto, ma con qualche limite. Se p. es. il Papa parla del rischio che in pagina troppo spesso «il male» si presenti in forma amplificante, «abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili», è strano che si scriva di «belle parole del Papa» e poi con ironia che «Benedetto insegue il buonumore perduto» ("Il Foglio", ieri, p. 1). Più saggio invece, sempre ieri, che Massimo Gramellini ("La Stampa", p. 1) rifletta sul modo con cui si può parlare sia del bene che del male, richiamando alla responsabilità e superando «l'idea che esistano solo due tasti da pigiare, la paura e la trucidità». Che il male è inevitabile " come sempre lì, sempre p. 1 " scrive Lucia Annunziata, è vero, ma giustamente anche lei aggiunge che «Il Papa parla probabilmente del modo con cui parliamo di noi, della società in cui viviamo». E sì: c'è da pensarci su, e spiace constatare che il direttore del Tg1 dica che lui «fa già ciò che il Papa auspica», e lo ha dimostrato sulle recenti vicende escort e Marrazzo. No: il Papa non dice di nascondere le notizie, ma di trattarle in modo diverso da come troppo spesso si fa. Frutto di malinteso o pregiudizio che non rispetta i fatti anche titolare «Ratzinger manda al rogo i giornali» ("Italia Oggi", p. 6). Ultima nota, per allegria: su "Repubblica" (p. 10) trovi il noto semiologo Paolo Fabbri che per non acconsentire del tutto ricorda che prima del Papa quelle cose le ha dette «Susan Sontag», e anzi che" «Aristotele sosteneva il contrario». «Ipse dixit» eterno: ma tornato laico"
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