giovedì 14 gennaio 2021
Giù le mani da Ginettaccio. Accade in queste ore che due storici, padre e figlio, Stefano e Marco Pivato, abbiamo gettato una manciata di chiodi sulla strada del mitico Bartali. Macché giusto tra le nazioni, macché salvatore di ebrei. Tutte frottole, leggende create dai suoi fan. Ne scrive sabato scorso in ben due pagine del "Corriere della sera" Gian Antonio Stella. I Pivato hanno appena scritto un libro il cui titolo non dà adito a equivoci: "L'ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata" (Castelvecchi). Due anni prima Stefano Pivato aveva scritto "Sia lodato Bartali". Poi ha cambiato idea. Perché? Memorie e testimonianze possono essere false e comunque non bastano in assenza di documenti: «I colpevoli sono coloro che, dopo la morte di Bartali, partendo da una "notizia falsa", si sono via via aggiunti nell'enfasi, creando un mito "anche grazie a quella mancanza di tutele della storia rispetto a una serie di memorie ripescate a decenni di distanza, di sentito dire, di sussurri e supposizioni di seconda e di terza mano"».
Pazienza se lo stesso Stella, cronista neutrale che però non sa nascondere la sua simpatia per Bartali, riporta una piccola valanga di testimonianze, soprattutto di parte ebraica, comprese le famose carte d'identità false. Gli stessi ripetuti allenamenti da Firenze ad Assisi via Terontola tutte invenzioni? Il giorno dopo, sempre sul "Corriere" appare un articolo firmato da Riccardo Nencini, politico noto, ma qui soprattutto nipote di quel Gastone Nencini, il "leone del Mugello", vincitore di un Giro e un Tour, erede ideale di Gino nel cuore dei fan bartaliani. Nencini nipote fece le sue indagini, raccolse testimonianze inoppugnabili sui passaggi di Bartali dal Convento di San Quirico in Assisi e vide le carte d'identità false. Già, quante "testimonianze inoppugnabili" occorrono per costituire una prova? Nel frattempo, Lassù Bartali sta fendendo felice le nuvole con il suo nasone borbottando: «Tutte bischerate».
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