giovedì 2 giugno 2016
Padri "dentro" e padri "fuori". Padri che si guardano indietro alla ricerca dei figli che sono stati. Padri che hanno disobbedito ma che, a parti invertite, vorrebbero che i loro consigli venissero ascoltati. Padri che fanno i conti con l'assenza, subìta o causata. È la riflessione sulla paternità il terreno comune che ha portato una quindicina di papà detenuti nella casa circondariale di San Vittore a lavorare con altri papà provenienti dall'esterno (come il consigliere comunale Alessandro Giungi, il sindacalista della Cgil Corrado Mandreoli, Ottavio Moffa della Comunità del Giambellino) nel laboratorio di scrittura "Nel nome del padre". La proposta nasce dall'associazione piacentina "Verso Itaca Onlus", che l'ha sperimentata nelle carceri di Verona, di Parma (nella sezione alta sicurezza) e appunto a San Vittore, dove ha lavorato entro il Progetto Ekotonos. «La scrittura non è uno strumento intellettuale, ma umile, che aiuta a scavare nella vita», fa notare la giornalista Carla Chiappini, che coordina il laboratorio, sostenuto dalla "Fondazione Cattolica" di Verona. Essere genitori, compito difficile sempre, per la persona detenuta è impresa ancora più ardua: senso d'impotenza, paura di dire la verità ai figli, consapevolezza del dolore che si sta causando a chi si ama. "Nel nome del padre" offre agli uomini – per natura poco avvezzi a tirar fuori quel che hanno dentro – l'occasione di condividere le esperienze, cercando modalità nuove per costruire il miglior dialogo possibile. Anche questo è rendere la pena più attenta alla dignità della persona.
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