martedì 7 aprile 2020
Ieri (“Corsera” p. 1 e int.): «Perché mi hai abbandonato? Quando perdiamo ciò su cui puntiamo di più la vita ci si mostra nella sua nuda fragilità e: o ci si perde o ci si ritrova una volta per sempre». Alessandro D'Avenia, professore e scrittore, pensando al coronavirus ricorda che il grande Haendel quando sentì esaurite le sue energie di uomo e di musicista in una notte di disperazione mortale «pronunciò le parole di Colui che moriva sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Disperazione? D'Avenia continua: questo abisso ove tutto sembra perso è in realtà un “passaggio” – Pasqua dice questo – e quel momento è positivamente decisivo: «Il Figlio infatti chiede al Padre perché l'abbia abbandonato con le parole iniziali del profetico Salmo 21, che non sono un urlo disperato, ma un atto di fiducia. L'atto di chi non potendo più confidare nelle proprie forze si affida, come mostrano le sue ultime parole: Padre, nelle tue mani metto la mia vita». Che dire? Forse è la prima volta che su un giornale laico mi trovo a leggere il vero senso liberatorio per ogni autentica speranza umana, la sintesi perfetta dell'animo di Cristo – e quindi veramente cristiano – in queste ultime parole prima della resurrezione. Non punto di arrivo in disperata solitudine, ma slancio di fede, speranza e amore – sintesi di ogni vita autenticamente umana e cristiana – che ringrazia un Dio, quello che si rivela e si dona in Gesù e non riserva alle sagrestie e alle sicurezze clericali il senso profondo della sua parola. Grazie quindi a D'Avenia – che del resto i lettori di questo giornale impararono a conoscere per primi come commentatore – e al suo “Ultimo banco” (così si chiama la sua rubrica) e un augurio a tutti coloro che anche nei momenti della maggiore difficoltà non perdono mai la speranza, per Charles Peguy la «più piccola delle tre virtù teologali». Ma quella che ci garantisce la sorgente delle altre due maggiori: la fede e la carità.
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