mercoledì 9 settembre 2009
Nelle poche pagine di Libertà di coscienza e religione (Il Mulino, pp. 88, euro 10), Martha C. Nussbaum, filosofa dell'Università di Chicago, internazionalmente nota, ha concentrato le sue convinzioni sul formidabile tema che sta nel titolo. E proprio il titolo non è convincente, perché a me è stato sempre insegnato di distinguere fra libertà di coscienza e libertà delle coscienze.
Libertà delle coscienze significa che nessuno può essere indotto, o tanto meno costretto, a seguire opinioni anche religiose contrarie alla propria coscienza; ma la coscienza di per sé non è libera se per libertà si intende la capacità di stabilire che cosa è bene e che cosa è male. In altre parole: la libertà della coscienza è il sacrosanto libero arbitrio di scegliere tra il bene e il male; ma che cosa è bene e che cosa è male non spetta alla coscienza di stabilirlo.
Un kamikaze iracheno può sentirsi in coscienza, e per motivi religiosi, autorizzato a far saltare in aria la gente in un mercato, ma questo tipo di libertà di coscienza non sembrerebbe da incoraggiare. Vogliamo dire, riecheggiando gli insegnamenti degli ultimi pontefici, che la libertà deve sempre e comunque confrontarsi con la verità? Parola grossa, la «verità», ma se si rifiuta il confronto, non si fa molta strada.
Che è proprio quello che accade a Nussbaum, la quale giustamente si oppone a qualunque forma di religione di Stato o di privilegio sociale per motivi religiosi; ma nel suo ragionamento c'è qualcosa di capzioso. La studiosa, che è diventata ebrea dopo aver sposato un ebreo, sostiene l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge per difendere il pluralismo religioso, ma il difficile è stabilire l'equilibrio tra uguaglianza e pluralismo. Per motivi di libertà di coscienza la Corte suprema degli Stati Uniti ha consentito l'uso di droghe nelle cerimonie di certe religioni. Per motivi religiosi sarebbe dunque da autorizzare anche l'infibulazione?
Del resto, Nussbaum stessa assegna dei limiti: «Solo ciò che nella legge è definito come "interesse imperativo dello Stato" dovrebbe poter giustificare una qualche riduzione di quello spazio [della libertà di coscienza]». E ancora (con Roger Williams): «Proteggere la libertà di coscienza egualmente per tutti i cittadini non significa che le istituzioni pubbliche debbano essere prive di contenuto morale. Possiamo essere d'accordo e convenire su uno spazio morale condiviso, mentre allo stesso tempo siamo discordi sulle verità religiose fondamentali alle quali, secondo molte persone, sono strettamente collegate le verità morali. Ma siamo proprio sicuri che sia possibile separare le verità morali dalle verità religiose, in particolare dalla verità di quella religione che crede in un Dio la cui intenzione creatrice è iscritta nella coscienza morale dell'uomo?
L'ossessione per la pur giusta uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi e alle istituzioni dello Stato, induce Nussbaum a considerare equivalenti tutte le religioni, cioè al relativismo. Diceva san Josemaría Escrivá conversando con un non cattolico: «Per lealtà devo dirti che la mia religione è quella vera e, pertanto, la tua non lo è. Ma io sono disposto a dare la mia vita affinché tu possa seguire ciò che la tua coscienza ti suggerisce».
Nussbaum " che, coerentemente, è contraria ai crocifissi nelle aule scolastiche o all'allestimento di presepi in luoghi istituzionali " si oppone sia all'«ortodossismo» di chi sostiene la preminenza di una tradizione religiosa, sia all'«antireligione» di chi ritiene le religioni un relitto del passato, da superare, per esempio, in nome della scienza. Ma conclude: «La capacità interna di coscienza è un oggetto delicato e vulnerabile. Necessita di sostegno da parte delle leggi e delle istituzioni». E questo mi ricorda una vecchia vignetta in cui il comandante di una potente cannoniera americana, di fronte a una costa abitata da popolazioni primitive, tuonava dall'altoparlante: «Siamo venuti a portarvi la democrazia. Arrendetevi!».
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