sabato 14 novembre 2015
«Inquietudine». Già qui (9/2/2011) si è ragionato sulla sprovvedutezza (“l'Espresso”, 27/1/2011) con cui Emiliano Fittipaldi ha scritto che il Vaticano sarebbe stato già alla fine: «travolto». Invece è ancora qui, e il collega pure, ostentando qualche «sicurezza» in più. Resiste però ancora qualche “sprovvedutezza”. Così su “l'Espresso” in edicola (19/11, p. 25: «Quante divisioni contro il Papa»): «La causa principale dello scompiglio di questi ultimi giorni va cercata all'interno del caos (o inquietudine, come ha detto il Papa a Firenze) che la novità di Francesco ha scatenato all'ombra del Cupolone». Leggi e sorridi. Fischi per fiaschi. Un pizzico di comprensione ti dice, infatti, che la «inquietudine» evocata e sollecitata dal Papa a Firenze e prima anche altrove – nella Evangelii Gaudium il termine «ricerca» torna 19 volte! – e che l'insistenza di Francesco sul non accontentarsi del presente, e neppure cullarsi nella coscienza della verità, nulla ha a che vedere con il «caos», ma molto con il fuoco che arde nei testi dei Profeti (per esempio Is. 9. 63), e ancor più nella parola di Gesù stesso (Lc. 12, 49) che dice di essere venuto per «portare il fuoco sulla terra» e per «un battesimo» da compiere tale da tenere il cuore in ansia fino alla sua realizzazione. Questa è l'inquietudine che Francesco raccomanda, quella di chi non si mette seduto nell'autocoscienza di avere sempre e comunque ragione, quella di chi «esce» sempre da sé stesso per andare incontro all'altro, comunque e ovunque lontano, perché per questo ha ricevuto il dono della fede, e in una Chiesa come tale sempre «in uscita» verso gli ultimi, gli scartati, quelli che magari “l'Espresso” non lo leggono, ma attendono una parola, quella parola, che non viene da altri che da quel Gesù Cristo che Francesco ha indicato all'inizio del discorso a Firenze. Qui è l'essenza del “nuovo umanesimo”: il resto cambia sempre.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI