giovedì 4 gennaio 2018
Martina ha 24 anni, suo fratello Pietro uno di meno. Abitano nella Bassa padana, ma la sera di Capodanno erano ospiti di un amico a Madonna di Campiglio. L'addio al 2017 volevano darlo al Graffer, uno spartano rifugio a 2.260 metri nel cuore delle piste. E volevano arrivarci con le pelli di foca sotto gli sci, l'antico espediente per scivolare in salita. Partenza in località Campo Carlo Magno, arrivo previsto due ore dopo. Niente cenone: il pasto serale iniziava come sempre alla 19.30, ma alla stessa ora – nella chiesetta del "Campo" – don Romeo Zuin avrebbe celebrato la Messa con il Te Deum di fine anno. Lì tutto vive di turismo, la liturgia deve tenerne conto. Una telefonata del parroco: i due fratelli accettano di animare i canti, l'amico di suonare l'organo. A costo di arrivare al Graffer dopo le 22.30. Ma a quell'ora i tre sono molto indietro. Martina non ha più energie. Le nuvole basse offuscano il fascio della pila frontale. Bisogna avvertire il Graffer, ma il gelo ha compromesso la carica dei cellulari. I tre sono isolati nel nulla, sanno però che poco più avanti c'è un altro rifugio: il Boch. L'amico si stacca dal gruppetto, spinge sugli sci "pellati" in salita, e a un'ora dal Capodanno chiede di poter avvertire il Graffer, cioè la struttura diretta concorrente, duecento metri più in alto. Il gestore del Boch, Roberto Scalfi, non dà loro un telefono, ma nel cuore del cenone – lì sì che la serata meritava il superlativo – fa accendere la motoslitta. Costo del servizio: nemmeno un euro. Anzi: «Siete già stati bravi ad arrivare fin qui». E poi, «con tutti i favori che ci fa il Roberto...» (Manni, gestore del Graffer). Bene che ritorna, notte di Capodanno compresa.
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