Martedì ("Corsera", p. 1: "La missione di carità che fa bene alla Chiesa") Michele Salvati con ottime intenzioni osserva che la Chiesa dovrebbe accorgersi di quanto consenso ha quando si fa promotrice di carità sociale, ma anche di quanti rifiuti riceve quando si mostra intransigente su materie di bioetica. Già ieri qui su "Avvenire" varie risposte ottime, e sullo stesso "Corsera" (p. 37) Savino Pezzotta ricorda che a fondamento della sua proposta di Carità la Chiesa ha l'obbligo di «proporre la sua Verità» " «V» maiuscola " che è Vangelo, cioè Gesù Cristo salvatore in pienezza, e Salvati gli replica cortese che l'azione della Chiesa, quando testimonia «ciò che ritiene Verità" non è redditizia in termini di consenso politico». Perfetto! Ha ragione, Salvati, ma non si offenderà se leggendolo a Malpelo tornano in mente un paio di scene evangeliche. La prima è quella delle «tentazioni» nel deserto, con la proposta di tre cose che Gesù rifiuta (Mt. 4,11 e paralleli) e la seconda è quella del momento supremo, quando da sotto la Croce qualcuno lo esorta a salvare se stesso, come ha salvato gli altri: «Scenda dalla croce e gli crediamo» (Mt, 27, 42). A Malpelo a prima vista paiono tutte cose «redditizie in termini di consenso politico»" Allora la vera domanda è altra: può la Chiesa, e nel caso anche un Papa, non «produrre conflitto» " come diceva ieri giustamente Baget Bozzo ("La Stampa", p. 36) " e non ricevere dissensi politici quando annuncia, sulla vita, sulla morte e sulla salvezza, le cose per cui Gesù Cristo ha dato se stesso? E la risposta, pur con tutto il rispetto, è no.
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