domenica 20 dicembre 2020
Questo del 2020, annus horribilis, sarà il Natale della nostalgia. Perché vergognarcene? È normale e giusto provare nostalgia per i Natali del passato in cui potevamo vederci con quanti ci stanno a cuore, con i parenti vicini e soprattutto lontani: con i genitori anziani, con i nipotini, con i figli partiti a lavorare in città e paesi lontani. È del tutto normale che quei Natali ci manchino e ne proviamo nostalgia.
Nostalgia, in sé, è parola mite e nobile. Nasce da due termini greci – nóstos, ritorno, e àlgos, dolore, tristezza – in tedesco è Heimweh e in portoghese saudade. Indica il rimpianto, spesso struggente e irresistibile, per un luogo perduto. Ora è un luogo fisico, la terra natale, la propria casa scrigno degli affetti; ora un luogo dell'anima legato al passato. Può diventare parolaccia quando imprigiona e rende infelici; soprattutto quando ci induce a ripristinare un passato irrecuperabile, quasi sempre illusorio perché la nostra memoria si diletta a ingannarci. Il passato diventa la terra dove scorrono latte e miele. Come ammonisce Fernando Pessoa: «Non c'è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state».
La cattiva fama della parola nostalgia dipende in gran parte dal fatto che "nostalgico" è l'aggettivo di chi prova irrefrenabile rimpianto per il Ventennio e l'uomo forte, quando tutto pare volgesse al meglio. È una nostalgia per la quale svenderebbe la libertà e la democrazia, prezzo per lui ragionevole in cambio di... già, in cambio di che cosa? È qui che la memoria farlocca si mette al lavoro di buzzo buono, creando un mondo immaginario dove scorrono latte e miele. E il cumulo di incalcolabile sofferenza che quel mondo provocò al Paese svanisce, come se mai fosse esistito. La memoria, se ben manipolata, è il perfetto sciacquamorbido e rende la nostalgia una sorta di Coccolino.
Le cose non sono più quelle di una volta? Probabilmente non lo sono mai state. Ma la nostalgia è sentimento umano impossibile da sopprimere. È la nostalgia che ci spinge a riavvolgere il nastro della vita alla ricerca dei rari attimi in cui tutto era meraviglioso, senza precarietà né sofferenza. È la nostalgia che ci induce ad andare nella camera di montaggio a costruire un film falso ma fatto di quei frammenti veri.
E allora perché non diffidare della nostalgia senza concederle alcuno spazio? Perché non allontanare da noi i fantasmi dei Natali passati? Forse per questo molti, affermando che dopo la pandemia "nulla sarà più come prima", cercano di convincerci che riunirci in presenza fisica, celebrare la Messa in chiesa, andare a scuola sedendosi dietro il banco è la stessa identica cosa che farlo virtualmente, con il pc o lo smartphone, con il vantaggio di evitare il contagio. In caso di emergenza, è senz'altro utile, perfino provvidenziale. Grazie! Ma avere un po' di sana nostalgia per quando ci guardavano negli occhi, potevamo toccarci e sentire voci calde e non metalliche è cosa ottima.
La nostalgia ha dunque due possibili funzioni diametralmente opposte: imprigionare o liberare. Può indurci a ripristinare il passato, come se davvero fosse il migliore dei mondi possibili, operazione vana e perfino pericolosa; oppure può aiutarci a liberare energie per costruire un futuro migliore, che recuperi il meglio del passato scartando il peggio. Si chiama nostalgia del futuro. Di un futuro in cui le merci e il loro consumo non saranno più un idolo tirannico che pretende devozione assoluta. Ma di un futuro in cui legami, relazioni e comunità saranno i beni principali da perseguire. Altrimenti perfino il pc, che in questo 2020 ci ha resi un poco più liberi, può trasformarsi in una prigione.
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