giovedì 26 febbraio 2004
Questo mondo non è la conclusione./ C'è un seguito al di là -/ invisibile, come la musica -/ ma forte, come il suono -/ accenna, e quindi sfugge -/ la filosofia lo ignora -/ è l'intuizione -/ che deve alfine penetrare l'enigma. Ci ha lasciato 1775 poesie di straordinaria intensità e fragranza. E' Emily Dickinson, una delle poetesse che più ammiro, nata nel 1830 in una cittadina del Massachusetts: là visse quasi sempre, in uno scenario intatto di cieli luminosi e di foreste silenziose, e là morì nel 1856. Ho scelto a caso da Tutte le poesie, edite da Mondadori, alcuni versi sulla morte, un tema "forte" che meriterebbe qualche spazio durante questi giorni quaresimali di riflessione. La sua era una fede intima, profonda e lacerante. Scriveva infatti: «E' assai più grave perdere la fede/ che un patrimonio -/ perché questo potrai rinnovarlo,/ la fede no». Emily guarda oltre l'orizzonte della morte, quel "seguito" della vita simile a una musica che godi e senti viva e palpitante ma che anche ti sfugge. La filosofia da sola, pur con lo sforzo di titani del pensiero come Platone, non riesce a darti evidenze definitive. E' "l'intuizione" della fede che riesce a sciogliere quell'enigma. Anzi, la Dickinson si spinge oltre e si affida a Cristo: «Io vi dico - così disse Gesù -/ che esiste qui sulla terra una specie/ che non conoscerà il gusto della morte -/ se Gesù disse il vero/ non ho bisogno di altre garanzie -/ perché l'affermazione del Signore/ non si può contraddire./ Mi disse Lui che la morte era morta». Una sfida ardua e coraggiosa che ci fa procedere giorno dopo giorno nel cammino della vita aggrappati al filo della speranza, fino al momento in cui Cristo dirà a noi e alla "piccola" Emily: «Sappi che il più piccolo/ è reputato il più grande nel cielo./ Abita la mia casa!».
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