venerdì 5 settembre 2003
La frase del cardinale Schonborn che è intervenuto al Meeting di Rimini sul tema della felicità ha colpito tanti. In sostanza ha invitato a non disprezzare le piccole felicità della vita come «un buon pranzo o un bicchiere di birra fresco in una giornata di calura estiva». Ora, sembrerà un controsenso ciò che vado ad argomentare, ma la felicità che poi alberga dentro al gusto, la si può trovare anche nella dieta. Recentemente il ministro per la Salute Sirchia è intervenuto proprio sull"argomento parlando delle quantità dei cibi e della necessità di dimezzare i contenuti di lattine, dolci e quant"altro. Un buon pranzo dunque non coincide necessariamente con un pasto abbondante, ma con la misura che raggiunge in equal modo l"esigenza di una sazietà. Ricordo i pranzi e le cene nel convento carmelitano del Deserto di Varazze e la tensione al gusto che davano quelle porzioni di pesce, di pane, di vino, di insalata, che il monaco di turno cucinava per i confratelli e gli ospiti. Si mangiava in silenzio, ma più che un vezzo o una restrizione a me sembrava una tensione a ciò che c"era dinnanzi, e persino un"attenzione alle esigenze del vicino. Molto spesso di mangia senza dividere, senza vivere la com-pagnia il cui termine deriva proprio dal dividere il pane, dal condividere una felicità, una risposta ad un bisogno elementare. Chi ha provato a fare una dieta, come quelle che prescrive il professor Calabrese, più che un ricordo di restrizioni conserva infatti l"idea di una riscoperta del sapore della frutta, della verdura, della pasta e della carne consumate nella giusta quantità. Non c"è felicità più grande che riscoprire una misura, non c"è sazietà migliore che ritrovarsi, anche nel momento di cibarsi, dentro a un ordine che sembra ricordarci quanto tutto, di ciò che arriva dalla terra alla tavola, è stato fatto per noi. La cosiddetta abbuffata, alla fine, nell"era dell"ipernutrizione che stiamo vivendo, ci distrae da una tensione al bello e al gusto, ci mette a disagio.
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