venerdì 28 settembre 2018
Il settimo sigillo nel libro dell'Apocalisse (7,1-8) è preludio alla grande visione della moltitudine dei redenti (7,10-12). La preparazione di tale assemblea liturgica consiste nel superamento dello scenario creato, la cui realizzazione è affidata ai quattro angeli che controllano le forze cosmiche (7,1). Un altro essere celeste si rivolge loro così: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio» (7,3). Il verbo reso in italiano con "devastare" nel testo originale è adikéo che in realtà significa escludere la giustizia dal proprio comportamento. Perché dunque sarebbe ingiusto devastare la terra, il mare e le piante? Perché ciò non può avvenire senza che siano poste le condizioni fondamentali per la salvezza: porre sulla fronte dei servi di Dio il suo sigillo. L'immagine è ripresa da Ez 9,4 in cui il tau segnato sulla fronte degli abitanti di Gerusalemme li preserverà dallo sterminio. In Apocalisse il sigillo che destina alla salvezza è lo stesso nome divino posto sulla fronte dei suoi servi (3,12; 14,1; 22,4). Sarebbe veramente ingiusto superare il creato se non quando i redenti sono ormai davanti al trono di Dio e dell'Agnello. Gli sconvolgimenti cosmici non sono fine a sé stessi, essi saranno solo allestimento dell'unica dimensione degna di eternità, l'aula celeste nella quale non cessa questo canto: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello» (7,10).
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