mercoledì 30 dicembre 2009
Non sono molti i poeti civili in circolazione, e fra questi pochi c'è Nicola Vacca che con la nuova plaquette Esperienza degli affanni (Edizioni Il Foglio, Piombino 2009, pp. 84, euro 6), offre trentotto poesie che si direbbero di «lirismo civile».
Per completezza bisogna ricordare che c'è anche un Festival della poesia civile «Città di Vercelli», giunto alla quinta edizione, che il 26 novembre scorso ha premiato il greco Titos Patrikios, ma a scorrere l'elenco dei festivalieri si nota la consueta compagnia di giro della poesia italiana di prima e di seconda scelta, che di «civile», in senso tecnico, ha poco o niente: non basta che una poesia non sia incivile per essere poesia «civile».
Esperienza degli affanni è il nono libro di Nicola Vacca (Gioia del Colle, 1963). Fra i più recenti elenchiamo: La grazia di un pensiero (prefazione di Paolo Ruffilli, 2002); Incursioni nell'apparenza (prefazione di Sergio Zavoli, 200); Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, 2007); Frecce e pugnali (prefazione di Giordano Bruno Guerri, 2008).
Niente invettive, niente ideologie nella poesia «civile» di Vacca: non vuol essere poesia di popolo, voce di popolo, anima della comunità, programma di riforma o di rivoluzione sociale. È la riflessione solitaria di un poeta insoddisfatto di come va il mondo: sa di non avere i mezzi per cambiarlo, ma almeno vuol comunicare la sua presa di coscienza del dolore, delle brutture, della cattiveria, delle menzogne che non riguardano lui solo. Poeta, dunque, «civile» perché mette a disposizione la propria soggettività per una condivisione di idee e di sentimenti in cui a molti è dato di riconoscersi. Che poi è il compito di ogni poesia che tale veramente sia.
Una parola chiave in questa raccolta è «buio», anche nella variante «oscurità»: «In compagnia dell'oscurità / avanziamo passi incerti»; «Non dobbiamo smettere / di scavare gallerie nel buio / che ci stanno cucendo addosso»; «Ma chi ha detto / che il buio è solo nero?»; «Dentro l'oscurità delle cose / cerchiamo la nostra stessa ombra»; «È agghiacciante il silenzio / di un altro secolo di oscurità»; «Nel bagliore del giorno / siamo le sentinelle del buio»; «Dovremmo scendere nel buio / con l'umiltà di chi sa leggere / il dolore che scrive»; «Il pensiero fatica a sopravvivere / nel buio che inghiotte le cose».
E come si reagisce a tutto questo nero sociologico e ideologico che ci circonda? Nicola Vacca crede tuttora alla forza catartica della parola: «La vita non è facile / lo sanno i poeti. / Tutte le mattine / fanno i conti con le parole / camminano senza mappa»; «Dateci parole semplici / per attraversare il mare»; «I giorni in affanno / supplicano parole nuove»; «È tempo di raccolta: / incidere nell'anima / le parole che mostrano il vuoto»; «Servono parole. / L'inverno è muto»; «Amate la crudeltà delle parole nude».
Ma non si tratta di innalzare una diga di parole per arginare il buio: la risposta, in tutta la sua complessità, è semplicemente nell'amore, che dà forza anche alle parole. Infatti, «le parole sono sfinite / perché forse si ama troppo poco». Del resto, «non tutte le domande / si rifugiano in una risposta certa. / Su questo dilemma misterioso / forse attendiamo increduli / l'intervento dell'eternità di Dio».
Nella consapevolezza che il buio può tracimare nella minaccia del nulla, il ricorso alle parole assume una valenza augurale, appropriata all'effemeride, in questo Capodanno a Ferrara, qui trascritto integralmente: «Alla fine sono le parole / questi grumi d'anima / che soffiano sul cuore / per non sprecare l'amore. / Solo le parole buone / annunceranno la retta via / che qualche volta di accade di smarrire. / Sapremo vedere la luce / anche se il nuovo anno / porta con sé troppa oscurità». Il dialogo «civile» di Nicola Vacca prosegue nel blog Nel verso giusto, www.nicolavacca.splinder.com.
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