mercoledì 5 febbraio 2020
Zagabria, 13 gennaio 1993. Borna Barcic si appresta a eseguire le trenta Variazioni Goldberg di Bach nella grande sala del Conservatorio. Ha diciott'anni, è figlio di operai poveri che hanno puntato tutto su di lui. Indossa uno smoking fatto su misura dal sarto Pogorelic, elegantissimo anche se sua madre ha preteso che i pantaloni abbiano il risvolto contro ogni regola sartoriale: benché Borna sia alto quasi due metri, la madre ritiene infatti che crescerà ancora. È divorato dal panico. Niente spartito, tutto a memoria. Ottanta minuti dopo, è il trionfo. Standing ovation. Per i genitori è il giorno più bello della loro vita. I loro sacrifici sono ampiamente rimunerati. Così comincia il nuovo romanzo di Nicola Lecca, Il treno di cristallo (Mondadori, Milano 2020, pp. 254, euro 18), che subito ci immerge nella tensione musicale che Lecca padroneggia splendidamente, come ha dimostrato, trentenne, con Hotel Borg, il romanzo che nel 2006 ha consolidato la sua fama. Nelle ultime pagine del nuovo libro, si affaccerà anche la Hammerklavier di Beethoven. Borna potrebbe essere il protagonista del romanzo, ma dopo poche pagine muore. Infarto, mentre è in viaggio in uno scompartimento di prima classe, un lusso a cui, benché quasi povero, non ha mai rinunciato. Ventun anni dopo (2014) ecco Aaron, il nuovo personaggio che, s'intuisce subito, sarà determinante. Ha diciott'anni, vive con sua madre Anja, a Broadstairs, cittadina sulla costa orientale inglese. Anja ha una fortissima depressione, Aaron deve proteggerla anche se ne subisce il peso. Aaron, apprendista nella prestigiosa gelateria Morelli, ha una ragazza, Crystal, con cui ha una relazione virtuale, online. Crystal trova sempre nuove scuse per non incontrarlo e quando Aaron, su consiglio dell'amico Gennarino, le dà una specie di ultimatum, la ragazza non risponde più ai suoi messaggi. Anja non ha mai detto al figlio chi è suo padre: lo dà per morto mentre lei era incinta. Aaron ha smesso di fare domande, per non aggravare la depressione materna. Il lettore, però, sa già che Borna aveva un figlio di nome Aaron. Aaron riceve una lettera dal notaio Porcic, di Zagabria. Gli fissa un incontro per l'apertura del testamento di suo padre, morto qualche giorno prima. Il notaio acclude un biglietto di Interrail perché, per disposizione paterna, il ragazzo dovrà raggiungere Zagabria in treno, per conoscere un po' d'Europa. Con uno stratagemma per non allarmare la madre, Aaron le fa credere di essere in vacanza con gli amici. Dover, Calais, Amburgo, Berlino, Praga, Lubiana… il viaggio verso Zagabria è di iniziazione. Aaron si caccia in guai da cui esce con l'istinto del bravo ragazzo. Lecca non scivola mai nel morboso, neppure in situazioni al limite. Negli ultimi, brevi capitoli, la trama si complica e i rapporti tra i personaggi si chiariscono in un lieto fine non manierato. La scrittura di Lecca è sempre tersa, anche nelle digressioni coloristiche. Il messaggio, forse, è che «la conoscenza è la chiave per un'esistenza più giusta e significativa».
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