sabato 14 ottobre 2017
“Foglio” (7/10, pp. 10 e 11: «Teologia del peccato che nessuno sa più cosa è»): con rimando a San Tommaso leggo che oggi si fa fatica a parlare di «punizione (...) per il peccato», ma poi trovo l'elenco lungo dei “sette vizi capitali” che certo sono peccati, e quindi qualcosa se ne sa e La fatica pare superata. Diversa la pretesa totale (“Repubblica”, 10/10) della replica di Giancarlo Bosetti, sicuro che «La violenza è il peccato originale della religione». Tesi: «Senza violenza non c'è alcuna religione». Segue sommaria analisi – si potrebbe dire del sangue... versato – delle varie religioni senza eccezione, ma forse ci si poteva attendere qualcosa di più preciso e puntuale sulla religione di Gesù Cristo, anche se spesso tradita dai cristiani: un originale non si giudica solo dalle copie! Ma è proprio vero che nessuno sa più cosa è il peccato? Nel 1895 Teresa di Lisieux, una ragazza normanna di 22 anni, vede il “peccato” non come violazione di legge divina, ma “porta liberamente chiusa” di fronte alla visita invasiva dell'Amore che è Dio rivelato in Gesù Cristo che bussa alla porta delle creature... Già all'origine (Ap. 3, 20) puoi del resto leggere: «Io sto alla porta e busso: se qualcuno mi aprirà entrerò da lui». E per un certo Karl Rahner (1977: “Il libro dei Sacramenti”, Queriniana p. 62) il peccato è voluta “anestesia” e “insensibilità” nei confronti di Dio presente anche nel prossimo. Qualcosa quindi si può ancora sapere, nonostante tutto... Tra l'altro (“Repubblica” 9/10, pp. 1 e interno: “Incontro con 'Noi'”) un dialogo illustre, pur in mezzo a qualche malinteso, indica il passaggio dall'“Io” al “noi” come progetto di «un nuovo umanesimo» proposto dalla «Chiesa di Francesco». Ecco: qualcosa si sa: l'“Io” che si sostituisce sempre a tutto, sia a Dio che al “noi” è radice di ogni male morale, che anche in pagina può avere il nome di “peccato”.
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