mercoledì 21 marzo 2018

Non è vero che la crisi è finita: ha solo deciso di prendersi una pausa e nemmeno dappertutto. Apro il giornale della mia città e leggo che – dopo il ristorante storico – chiude anche la mitica polleria Boano di Alessandria, con 63 anni di storia; e pure il caffè più bello della città, di fianco al teatro, soccombe come tanti altri in centro.
È finita un’epoca, dice qualcuno, mentre nella cintura della città imperversano i centri commerciali, dove il parcheggio è gratuito per tutti rispetto a chi si reca in centro. E se il cuore delle città di provincia si impoverisce, Milano diventa il sogno e il punto di arrivo: nomi importanti aprono nuovi locali, da Heinz Beck a Iginio Massari, che ha bottega a Brescia ma da poco è arrivato nella Milano sempre pronta al Natale.
Fenomeni contraddittori, però mettono in luce che una città può permettersi un’offerta varia e alta, dal punto di vista enogastronomico, se diventa realmente una meta turistica. La medesima situazione si registra a Verona o a Firenze, a Roma come a Matera; dove prende piede il turismo, si apre anche il mercato dell’alta cucina. Per Milano c’è voluto l’Expo, che ha coinciso con la nascita di una nuova skyline e fa pensare a un progetto andato a buon fine.
Ma negli altri centri minori quale progetto può esistere, se la testa pensante è stata tagliata? Da un lato con la mezza abolizione delle province, che proprio perché è stata fatta a metà ha causato ai nuovi amministratori una sola preoccupazione: mantenere il salvabile e occuparsi dell’ordinaria amministrazione. E dall’altro con l’accorpamento delle Camere di commercio, il cui via libera è stato dato dal governo uscente proprio alla vigilia delle elezioni (giusto per farsi ricordare come esecutore della decapitazione dei livelli intermedi) e che ora va avanti anche se non scalda i cuori di nessuno.
Intanto l’Italia continua a essere il paese dei Comuni, i cui sindaci non possono certo diventare manager di un turismo tutto da reinventare. Eppure la chiave per non subire ancora di più quella crisi che ha violenti colpi di coda – come le nevicate che sono scese anche in questi giorni – è mettere a sistema il "racconto" di un luogo. Che si chiama turismo, enogastronomia, storia, e diventa poi promozione. Tutti elementi che esistono in abbondanza in ogni località, ma vengono dimenticati: soprattutto se la testa amministrativa rimane centralizzata su Roma e poi a ricaduta su un capoluogo di Regione che di solito non vive i problemi della provincia italiana.
Che faranno i nuovi amministratori indicati dal popolo? Mortificheranno ancora i corpi intermedi? Sarebbe tutt’altro che un segno di discontinuità. Che in realtà stiamo attendendo.

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