sabato 16 aprile 2022
Da ragazzi giocavamo a battaglia navale. Io, almeno, ero in quella riprovevole categoria di alunni che nell'ora di fisica chiedevano asilo ai compagni degli ultimi banchi. A ripensarci mi sembra così ingenuo, rispetto ai videogames o ai messaggi sul cellulare, quel gioco solo di penna e di carta. La nave più grande era l'ammiraglia, lunga cinque quadratini. Si cominciava. F3, "niente", F4, "niente". Alzavi lo sguardo, il professore spiegava il rocchetto di Ruhmkorff – roba che, comunque, non avrei mai capito. D6, D7, D8, colpito, colpito, colpito... Quando ti colpivano l'ammiraglia, eri messo male. Poi finalmente suonava la campana e liberi, chiassosi sciamavamo per i corridoi. Mai avrei immaginato che, una vita dopo, i titoli a nove colonne sarebbero stati: "Affondata l'ammiraglia russa". Affondata al largo di Odessa la Moskva, 186 metri di acciaio, cannoni, missili. Un incendio, dicono i russi. Missili, nostri, dicono gli ucraini. (Ma tutti in salvo, davvero, gli oltre 500 uomini dell'equipaggio?) Comunque, la vecchia Moskva – nome massiccio – giace ora nel fondo del mare. Un po' come le nostre certezze di appena due mesi fa. Che una guerra in Europa fosse impossibile. Che la pace, qui, fosse garantita per sempre – non voleva forse dire questo, il 25 aprile? E quanto darei per tornare quella ragazzina all'ultimo banco, che affondava incrociatori sulla carta a quadretti.
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