Nel «Vespro della Beata Vergine» l'eco del maestro di San Pietro
domenica 30 agosto 2009
Virgilio Mazzocchi, ovvero l'arte della sintesi; della capacità cioè di mediare fra tradizione e innovazione, conciliando tra loro i principi compositivi dell'antica scuola polifonica e quelli dello "stil nuovo" che si andava affacciando alle porte dell'età barocca.
Fratello minore di Domenico, nacque a Civita Castellana nel 1597 e morì a Roma nel 1646; maestro colto e raffinato, rimase per quasi vent'anni a capo della Cappella Giulia presso la Basilica di San Pietro, ricoprendo dunque una delle cariche musicali più importanti e prestigiose in assoluto, che lo poneva giocoforza al centro del panorama culturale dell'epoca. E così, mentre il melodramma muoveva i suoi primi passi e il "divino" Monteverdi accompagnava Orfeo negli inferi per ritrovare l'amata Euridice, Mazzocchi affidava al pentagramma i grandi Salmi della liturgia vespertina, in un florilegio di brani musicali a cui il direttore Konrad Junghänel " alla testa degli ensemble vocali e strumentali Cantus Cölln e Concerto Palatino " ha attinto a piene mani per la ricostruzione di un ipotetico Vespro della Beata Vergine, che affianca le solenni composizioni di Mazzocchi ai mottetti di Carissimi e Palestrina (cd pubblicato da Harmonia Mundi e distribuito da Ducale).
Gemme preziose incastonate nel diadema di una delle più felici stagioni del repertorio sacro della nostra penisola, colta nell'apice della sua spinta di invenzione e di sperimentazione, alla luce del sempre più frequente reciproco scambio tra i lavori di destinazione liturgica e le opere di carattere profano. Pagine che vedono convivere e confrontarsi tra loro le salde fondamenta del magistero contrappuntistico e le spinte moderne della nascente monodia accompagnata, chiamate a rispecchiarsi nei contrasti espressivi del Dixit Dominus, nel soave intreccio melodico del Laudate pueri e soprattutto nel disegno articolato dell'imponente Magnificat; felice summa finale in cui, tra episodi concertati e passaggi di densa scrittura policorale, l'autore riesce a segnare un progressivo e inflessibile avvicinamento verso uno stile di canto sempre più sensibile e ricettivo al valore emozionale e affettivo della parola, portando all'interno delle chiese la celebrazione di un vero e proprio "teatro dello spirito".
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