martedì 3 dicembre 2019
Tempo fa mi hanno chiesto perché nelle mie cronache napoletane, un tempo da leggere con accompagnamento di mandolino e putipù, fossi diventato nebuloso e incerto. Per non dire di Ancelotti: era cosa nota ch'io me lo fossi tirato su fin da ragazzo, fin da quando - conosciutolo e premiato in C - lo consegnai a Nils Liedholm con una medaglia d'oro di garanzia; all'improvviso, avendo per anni raccontato la sua storia, arrivato a Napoli l'avevo archiviato. Perché? L'interrogativo ha un suono vagamente drammatico solo per me, lo ammetto; ma i guai sono tutti suoi. Non avevo mai caldeggiato la sua scelta e infatti una mattina mi aveva chiamato per dirmi «torno in Canada»; peccato che nel pomeriggio m'era arrivata notizia della sua firma insieme - ricorderete - alla famosa foto tipo zerozerosette di lui e De Laurentiis che posano spalla a spalla con la pistola in pugno. Non credo che oggi abbiano proprio voglia di spararsi, lui e Adl, ma son convinto che una crepa nella marmorea amicizia si sia prodotta. E mi duole - e insieme mi rallegra- che la frattura sia stata prodotta proprio dal mio Bologna che per decenni è stato amicone del Napoli. Fino a quando non ha cominciato a dargli fastidio. So che vi interessa sapere di Ancelotti, e vi capisco; ma prima lasciate che vi dica un paio di cose: 1) mai come quest'anno ho visto calciatori esibire una condotta molto personale, tale da ridurre il potere e la responsabilità di tecnici e dirigenti: è successo alla Roma, al Milan, al Brescia, anche alla Juve, dove i tecnici sono stati esonerati per volontà “dello spogliatoio”; 2) fermandoci a Torino e a Napoli è successo che juventini e napoletani abbiano snobisticamente sottovalutato Sassuolo e Bologna. Capita - direte- ed è vero: capita soprattutto a chi perde la bussola e si crede invincibile; poi magari ti fa vedere belle imprese ai danni di avversari di grido, eppoi perde punti con i soliti pirati del campionato. Ancelotti a Napoli s'è trovato, e ha ahilui maturato, una squadra di geni perdenti che gliel'ha data su col campionato e insegue - come si è visto due volte con il Liverpool- la Champions neanche fosse la Juve. Che peraltro si sta rovinando nell'inseguimento di un sogno quasi proibito pur avendo fior di campioni. Pensate il Napoli che ha un organico decoroso ma indebolito sul piano agonistico da una crisi di valori fisici e psicoligici. I signorini milionari non hanno più voglia di sgobbare agli ordini di un onesto lavoratore. E lui? Carletto ha commesso un errore di base: è andato a vivere e a lavorare a Napoli perché adora la città, il suo mare, il suo sole, forse anche la sua gente (non garantisco) e non ha voglia di andarsene. Mentre ho memoria dell'unico allenatore che ha veramente fatto grande il Napoli, portandolo in Champions, Walter Mazzarri, che se ne stava a Castelvolturno a combattere i grillotalpa e le tentazioni. A faticare, a istruire i lottatori. I Tre Tenori operai, diconsi Lavezzi, Cavani e Hamsik. I guerrieri, oggi, sono stanchi.
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