giovedì 4 giugno 2020
Ieri “Libero” (p.1 e int.): «È morto Roberto Gervaso, maestro di giornalismo». Famosi i suoi aforismi. Uno tra essi: “L'uomo è un condannato a morte che ha la fortuna di non conoscere la data della sua esecuzione”. Ancora lui ieri (“Giornale”, p.25): “Siamo nati per morire. Se l'avessi saputo prima”! Che dire? Che in fondo qui è la sola vera domanda. Se non troviamo un senso alla morte è la vita che perde ogni senso. Torno al giornalismo. Non pensavo di fare il giornalista, e per me nel passato nostalgia di apprendistato, con grandi maestri: Antonio Ghirelli, Gianni Brera, Indro Montanelli, Sergio Zavoli. Oggi pochi seguaci. Per non andare lontano stesso “Libero” (p. 1), nel titolo una battuta attribuita a lui: ”Non sono (sic!) più se sono vivo o morto”. È detto “l'ultimo dei giornalisti di classe”. Con qualche ragione? Per non andare lontano resto sul “Giornale” (26/5, pp. 1 e 5) ove trovo questo titolo: ”Prima le palestre. Scuole chiuse: corpore sano in mens insana” (Sic!). L'articolo deplora che da noi le prime a chiudere sono state le scuole e che saranno le ultime a riaprire, a settembre se tutto va bene... Giusto! Ma questo giornalismo inanella due grossi errori di latino: grandi maestri con pochi alunni! Torno alla domanda evocata nei due aforismi iniziali sul morire: eco di versi grandiosi (Catullo, Foscolo, Leopardi)! Quante domande in una sola! E trovare un senso alla morte è essenziale anche per la vita. Cosa può dire un maestro di vita? Può dire, senza presunzione personale e senza voler mortificare chi trova solo il peso della domanda, che se con la mente, con il cuore e con la bocca dico “Credo!”, e vado avanti fino alla «vita eterna» so dove cercarlo, il senso della vita. Da noi lo hanno fatto anche altri maestri di giornalismo. E la pagina è aperta per tutti...
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