domenica 2 marzo 2008
Che cosa mai avrà capito dei cristiani e di Gesù il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti, che dall'ultima pagina di D, la Repubblica delle donne, ogni sabato distribuisce il suo "laico" sapere? Per due volte consecutive si è occupato della morte. La prima (10 febbraio) per dire che, «per effetto della cultura cristiana» (la fede nella vita eterna), «si è affievolita la persuasione interiore [...] secondo la quale l'uomo è mortale». E poi per smentirsi, subito notando che «l'affievolirsi della promessa di una vita ultraterrena per effetto della secolarizzazione, ha fatto del prolungamento della vita [...] il supremo valore a cui tutti tendono». La seconda volta (23 febbraio) per affermare che «i cristiani non sanno morire» e nemmeno Gesù. Di fronte alla tranquilla morte di Socrate, che beve il veleno passeggiando, quella di Gesù gli sembra scadente. Leggendo la Passione secondo Marco, Galimberti chiosa che, nel Getsemani, il Salvatore «cominciò a tremare e a essere preso da angoscia», perché «ha paura non degli uomini che l'uccideranno né dei dolori che precederanno la morte: Gesù ha paura della morte in sé». Ora nessuno dei quattro Vangeli dice che Gesù tremò (Galimberti scambia «terrore» con tremore) né Gesù può avere avuto paura della morte, perché l'ha accettata da tempo e sa perfettamente che la vincerà. La sua angoscia e il suo sentirsi abbandonato dal Padre dipendono non dagli «uomini che l'uccideranno» e che Egli scaglierà tutti a terra con una sola parola: «Io sono!» (Yahweh!) né dai dolori, per i quali i Vangeli non registrano alcun suo lamento. L'angoscia di Gesù è provocata dal peso, che Egli sente su di sé, di tutti i peccati del mondo: dal primo dei Progenitori all'ultimo nel giorno futuro del giudizio: miliardi di miliardi di colpe che schiacciano l'Innocente fino a ridurre il Figlio di Dio non a peccatore, ché non poteva esserlo, ma, come scrive Paolo (2Cor 5,21), a «peccato» (e per questo si sente «abbandonato» dal Padre), affinché proprio il peccato fosse sconfitto e con esso la morte. Galimberti ripete l'errore dei pagani, che presero la croce per «stoltezza» (1Cor 1,23). Invece è proprio dalla croce che milioni di cristiani , anche oggi sotto regimi "laici", hanno imparato a morire da martiri. A testimoniare, cioè, la fede anche davanti a quei «saggi», il cui sapere diventa colpevole, perché superbo e incredulo, mentre Dio «rivela queste cose ai semplici» (Mt 11,25).

FLAMIGNITÀ
Il prof. Carlo Flamigni va a giorni alterni come le targhe delle auto. Il martedì dice che vanno cacciati dagli ospedali, anzi che «bisogna costringerli ad andare a fare un altro mestiere» (il Manifesto, giorno 26) e il mercoledì li chiama «Cari cattolici», chiedendo loro di smettere con le «crociate» (l'Unità, giorno 27). Martedì confessa: «Non so cosa vuol dire fare una moratoria», ma, in linea con le femministe di Liberazione (giovedì e venerdì), chiede «una moratoria contro l'obiezione di coscienza dei medici alla legge 194». Mercoledì fa il buonista mieloso (finto, perché riempie il suo miele di pillole di cattiveria), parla di compassione per le donne, di diritti e di pietà, ma dimentica i bambini abortiti, quelli che, come si sa, non sono uccisi, bensì amorevolmente custoditi nel tepore dei bidoni dei rifiuti speciali ospedalieri...
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